di TOMMASO VERGA

ANNOTAZIONE ESCLUSIVAMENTE indirizzata all’archivio. Primo turno, 11 giugno 2017. Emanuele Di Silvio 8.514 voti personali; Michel Barbet 6.504; 27,02 la percentuale delle 4 liste a sostegno del primo, 20,63 all’altro, espresso dal solo movimento 5stelle. Ballottaggio, 25 giugno. A Emanuele Di Silvio 9.991 schede, a Michel Barbet 10.586. Entrambi aumentano il personale consenso, inferiore alle aspettative, visto che considerata l’enorme astensione (due terzi dell’elettorato) a determinare il risultato è stato lo “zoccolo duro” dei due schieramenti, cittadini che si sarebbero recati a votare a prescindere da ogni circostanza. Trattandosi di elezioni amministrative non vanno poi ignorati quanti hanno obbedito all’altro “obbligo”, conquistare lo scranno in Consiglio comunale. Anche con una manciata di voti.

In sostanza, 21mila cittadini hanno nominato il parlamentino municipale e il sindaco rappresentativi di 67mila elettori e di 100mila abitanti.

Il giuramento di Michel Barbet, 28 giugno 2017

Si deve dire che ha perso il Pd ma che i 5stelle non hanno vinto

La “baruffa” mediatica seguita alla narrazione della “notte dopo gli esami” ha confermato quanto sinora si immaginava soltanto. Nei grillini convivono due anime. Quella radicale ha prevalso nello stadio pre e post elettorale.

La fase preliminare – mai resa pubblica, a simiglianza di un partito leninista – ha inanellato liti e scontri interni, divisioni formali che hanno raggiunto il culmine con espulsioni dal movimento. Fino alla conquista del primato da parte dei grillini ortodossi.

I 5stelle di Guidonia Montecelio, come è noto, diventano “partito” nella tornata elettorale del 2014 a seguito dell’unificazione del “Faro” – associazione di cittadini in prevalenza residenti nella parte ovest della città – con il meetup preesistente alla scadenza. Appuntamento che, dopo un tira-molla sui numeri e sulle persone, definitivamente assegna a due “faristi”, Sebastiano Cubeddu e Giuliano Santoboni (primo degli eletti in questa tornata), lo scranno consiliare.

Oggi, a conti fatti, la disposizione delle “truppe” ha subito variazioni. Il “Faro” ha in parte (consistente) disertato le urne, c’è chi, anche tra i promotori, ne sta mentalmente abbozzando la “rifondazione”, i grillini doc si sono impadroniti del “partito”. Risultato che però non coincide con la composizione del gruppo consiliare. E neppure con il pensiero di Michel Barbet, il sindaco che (in materia, la tradizione della Francia insegna) considera le istituzioni un patrimonio collettivo e non da declinare a interessi di parte che non siano i cittadini.

Il tempo sarà galantuomo. Se l’azione di governo si spiegherà nel verso inteso dal primo cittadino, sono rilevanti le possibilità che i 5stelle reggano l’urto che quotidianamente verrà da una città letteralmente “massacrata” dal centrodestra. Al contrario, le divisioni si radicalizzeranno fino al limite dell’incompatibilità tra posizioni all’interno della maggioranza. Le elezioni sono il passato, aldilà delle polemiche, nessuno si immagina tifi per una crisi permanente e senza sbocchi.

Mario Lomuscio, Pd, esordiente in Consiglio

Le divisioni interne al Pd, le (non)trattative con le liste civiche, le simpatie con la destra

“Noi, e questo lo dico pubblicamente, non voteremo Di Silvio sindaco”: Domenico De Vincenzi, uno dei “signori del voto” del Partito democratico, su Dentro del 24 aprile scorso. Sicuramente nessuna conseguenza seguirà la “dichiarazione ostile”. A dimostrazione che il “nemico” del Pd è il Pd.

A Guidonia Montecelio (con la similitudine di Fonte Nuova), due drappelli di “renziani” incrociano le armi non metaforicamente da anni – solo le convenienze elettorali permettono di abitare sotto lo stesso tetto –, scontro acuito di recente a seguito dell’annuncio delle elezioni anticipate per il sindaco e il Consiglio comunale. Una parte del campo è occupata dai “vincenziani” (il consigliere regionale Marco Vincenzi, nessun titolo per Domenico De Vincenzi), l’altra dal deputato Andrea Ferro, dal segretario provinciale Rocco Maugliani, dall’ex cittadino Mario Lo Muscio.

Divisi su tutto. E neanche Sisifo riuscirebbe ad illustrare il contenuto del tutto (si pensi all’assenso alla richiesta di candidatura di Luigi Trapazzo venuta da Aldo Cerroni e invece “corteggiato” dai dem “vincenziani” in alternativa a quella ufficiale di Di Silvio: “una gabbia di matti” avrà pensato l’ex magistrato). Un salto nell’attualità permette di riepilogare che, in città, i candidati pd alla prima poltrona erano in origine due, Simone Guglielmo (padre nobile Marco Vincenzi) ed Emanuele Di Silvio (padre nobile Domenico De Vincenzi). I “gemelli del gol” si divisero allorché la scelta genitoriale cadde sul primo. E fu separazione. Non consensuale. Premessa di una sconfitta che rallegra gli avversari e parimenti chi ha operato per tale risultato.

Non l’unico motivo, certo il meno digeribile per i dem. Che alla vertenza domestica hanno aggiunto una condotta quantomeno singolare nella ricerca di partner ritenuti necessari al conseguimento della vittoria. Inizialmente assemblando un’alleanza “arcobaleno”, comprendente i teoricamente inconciliabili – gli alfaniani di Alternativa popolare di Michele Pagano e Sinistra per Guidonia di Beniamino Turilli – che, a loro giudizio, non avrebbe arrecato offesa all’elettorato di riferimento.

Poi, allargando la sperimentazione del bouquet al ballottaggio, che si sarebbe dovuto arricchire delle liste civiche di Aldo Cerroni e di Giorgio La Bianca. A suo dire, convocato senza dialogo quest’ultimo, “Guidonia domani” s’è trovata alle prese, dato il contesto, con una inusitata discriminante: scorporare alcune liste di sostegno e sanzionare il patto con quelle gradite ai dem. Una peripezia il cui unico scopo era di mantenere inalterata la maggioranza Pd nella composizione del Consiglio comunale.

Nelle cose il “non se ne parla” dell’uno e dell’altro, l’invito al “libera tutti” destinato ai propri elettori, che, per tutta risposta, hanno votato Michel Barbet. Insomma, una partita a ciapa no (trad.: “traversone” da queste parti). Un capolavoro tattico e strategico.

Mario Valeri, il “veterano” del Consiglio comunale di Guidonia

Errori? Non soltanto. Perché il sostegno di Adriano Mazza – di Forza Italia, assessore alle Finanze durante i sette anni di governo del centrodestra – al futuro genero Emanuele Di Silvio, in fieri nella prima parte (comunque determinante per convincere Beatrice Lorenzin a concedere il simbolo di Alleanza popolare: la ministra era una funzionaria di Forza Italia quando Mazza era capogruppo consiliare in Provincia di Roma), esplicito nel ballottaggio, altro effetto non ha conseguito che l’acuirsi delle lacerazioni. Permettendo a Marco Vincenzi – il caro amico di Eligio Rubeis – di condannare senza mezzi termini la ricerca di sostegni del centrodestra.

Cosa accadrà adesso nel Pd è prevedibile. Mentre nei 5stelle la presenza del sindaco è sicuramente di ostacolo agli occupanti del Palazzo d’inverno (nella stagione sbagliata), nei dem non si scorgono possibilità d’uscita dalla crisi reale. Nel senso che il copione sarà quello ripetutamente esibito in passato. Si volteggia al musical-tango delle richieste di dimissioni, del “piazza pulita”, del redde rationem. Non seguirà nulla. Perché le scadenze elettorali del prossimo anno consigliano di non accentuare gli scontri, Parlamento e Regione sono a un passo, il bisticcio ci sta, la frattura no. Il voto, panacea di tutti i mali.

Gli altri partiti, ad esclusione di Aldo Cerroni – più che probabili le personali dimissioni dal Consiglio comunale – e di Giovanna Ammaturo (“Noi con Salvini”: superflua la chiosa sulle vicende di una famiglia che ha attraversato una storia spesa, anche tragicamente, al servizio del Paese), sono praticamente scomparsi. Un seggio per Forza Italia, Arianna Cacioni, cancellata Fratelli d’Italia (che magari attende le sue dimissioni per ricompensare il brillante lavoro di Alessandro Messa nel governo con Eligio Rubeis e Andrea Di Palma). Dovere di cronaca, ha i suoi difetti.

Auguri al sindaco e al Consiglio comunale. Non di circostanza. Del “cambiamento” hanno bisogno tutti. Per primi i cittadini.