di TOMMASO VERGA

UN FANTASMA S’AGGIRA negli androni del palazzo comunale di Guidonia Montecelio. Attenti a non alzare la voce, a non farsi udire, nei bisbiglii lo definiscono curriculum. Cautela e circospezione dovute non tanto alla preoccupazione di solleticare l’istinto moralistico e il monito di novelli ed estemporanei Catone – il cui numero è in ragguardevole aumento, in-distinguibili le provenienze –, ma alla eventualità che s’alzi la pertica a mo’ di bacchetta per ritrovarsi poi schiaffeggiati e pubblicamente obbligati a espiare in ginocchio dietro una bacheca.

Più che della lamentazione del censore, infatti, il timore attiene agli strali del procuratore. Il quale non rammenta gli stilemi di Baden Powell quanto piuttosto quelli di Andrej Januar’evič Vyšinskij, sacro custode dell’ortodossia. Di Stalin com’è noto. Quello i seguaci “dell’avvoltoio Trotsky, dalla cui bocca sbava veleno sanguinolento” li spediva in Siberia. Questo, l’equivalente di Guidonia, sui social.

Ma cosa c’è dietro i turbamenti degli altronisti comunali? Intanto – come si dice nei crimes Usa –, per analizzare compiutamente necessita restringere il campo. Quelli che in città vorrebbero leggere i curriculum contenenti le gesta degli assessori (e dei consiglieri) saranno manco una dozzina.

Gli altri, il plotone dei “dorotei” – una categoria dello spirito prima che di partito –, dopo il “sì, è vero”, ricorrono al classico “ma lasciamoli lavorare”. Buono per ogni appartenenza. Si usa quando occorre, con l’aggiunta del “ma c’è altro”, divisivamente e contemporaneamente per Virginia Raggi e per Nicola Zingaretti.

Il decreto n. 33 del 14 marzo 2013? “Sì, vabbé, ma lasciamoli lavorare”

Ciò detto, per la stragrande maggioranza dei guidoniani, l’argomento si direbbe un problema risolto. Con il silenzio. Salvo un codicillo, una postilla: rendere noti i curriculum non è un optional della “sfera politica” ma un vincolo precisato da una legge dello Stato italiano, il decreto n. 33 del 14 marzo 2013: “Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali” il titolo.

Si conviene, il dettaglio è superfluo. Non si metteranno in sequenza la dozzina di richiami elencati nel decreto. Perché a Palazzo li conoscono benissimo (e, in ogni modo, il pronto soccorso lo assicura il personale dirigente, a cominciare dalla segretaria comunale). Il che semmai vuol semplicemente significare che non sapere che fine abbiano fatto i curriculum è ancor più grave.

Si dirà che, in fin dei conti, sono appena passati due mesi dall’insediamento del nuovo esecutivo, per compilare un curriculum ne occorrono (?) di più. Ma anche di meno. “Se non ho niente da illustrare che curriculum vuoi che scriva?”, “Come faccio a dire che sono assessore grazie al “Cencelli” tra le correnti romane dei 5stelle?”. Non sottovalutando che, tra l’altro, si potrebbe incorrere in qualche infortunio.

“Quindi sono andata in Provincia…”: l’ente defunto il 31 dicembre 2014

Esempi: dichiararsi economista, ambire alla carica di ministro dei soldi nel governo pentastellato che verrà, e accreditare al torrido clima l’aumento del Pil nazionale; oppure “architetto urbanista con notevole esperienza nella Pianificazione Territoriale” e risultare irreperibile su internet; dulcis in fundo, annunciare di aver svolto a metà luglio 2017 una ispezione “a sorpresa” causata dagli effluvi maleodoranti di un’azienda di Guidonia, quindi replicare in Provincia, un ente defunto il 31 dicembre 2014.

O magari è il contrario – al cronista non può venir meno la malizia –: “visto che la governiamo noi” è preferibile non citare “Città metropolitana”. Sacrosanto invece chiedersi come la Regione abbia potuto rilasciare le autorizzazioni per l’impianto. Domanda pertinente, visto che la Pisana per legge non c’entra niente. Il buon consiglio: lo aggiunga l’assessora nel curriculum.

Fosse tutto qui… Perché c’è un aspetto decisamente più grave in questa vicenda. Ovvero, che i curriculum sono affari del meetup, gli altri non s’impiccino. Si ricorderà che fu proprio Michel Barbet – 31 maggio 2017, in piena campagna elettorale – ad annunciare che avrebbe selezionato e formato la giunta in base ai curriculum pervenuti al movimento 5stelle. Un “avviso” non dimenticato nel web, aggiornato alle scadenze, visto che il “candidato portavoce” d’origine indossa la fascia tricolore dell’eletto.

Il sindaco quindi da tempo conosce le specifiche dei personaggi. Un’aggravante gioirebbe l’accusa, perché il suo Comune evade consapevolmente la legge che obbliga a rendere pubblico lo status dei componenti l’esecutivo e il deliberativo dell’amministrazione.

A distanza di due mesi “ufficiali” si deve constatare che un diritto dei cittadini continua ad essere eluso. Stante i fatti, è come dir loro che devono attendere l’imprimatur di un partito politico. Specie a Guidonia Montecelio il futuro ritorna, nulla di nuovo sotto il sole. E se… un convegno sulla legalità?