di TOMMASO VERGA

LE ACQUE ALBULE possono risultare inquinate? A volare sulle piscine si direbbe no, non è possibile. Nemmeno teoricamente. Per un paio di ragioni almeno: l’alimentazione diretta dalle sorgenti; il ricambio permanente, senza ristagni né soste né interruzioni del liquido. Qualcuno, di contro, potrebbe osservare che non sarebbe una novità, a metà degli anni ’80 l’azienda venne chiusa proprio a causa dell’inquinamento, ignorando o dimenticando la disposizione dei pezzi su quella scacchiera era completamente anomala, si pensi al canale che conduceva l’acqua dai laghetti alle terme en plein air.

Già, ma se un ente pubblico attesta, ufficialmente, che nelle piscine delle Acque Albule a nuotare insieme con bambini, donne e uomini, sono coliformi e streptococchi, qualche cattivo pensiero è inevitabile. Così come approfondire. Con il risultato di scoprire che non c’è niente che possa interessare, nel senso che la normativa sembra cucita su misura perché si evitino contraccolpi sulle attività.

A questo punto è opportuno rendere chiare ed esplicite le questioni in ballo. Siamo a luglio del 2016, nel bel mezzo della stagione estiva – l’anno trascorso ad oggi non è influente, la procedura è esattamente la medesima –. Il giorno 13, alle terme si presenta “Arpa Lazio”, l’Agenzia regionale protezione ambientale, tra i suoi compiti l’incarico di verifica delle acque, la cui integrità deve corrispondere ai parametri fissati dalla norma “ai sensi del Dpr 470/82”.

I prelievi non producono effetti, la normativa (regionale) non prevede restrizioni

Dpr sta per “decreto” che riporta alla “direttiva della Comunità europea n. 76/160 relativa alla qualità delle acque di balneazione”. Balneazione? Non è così. Perché trattandosi di acque solfuree nella regione Lazio si applica una normativa ad hoc partorita dalla Pisana. Il cui braccio operativo è esclusivamente l’Arpa. Che rimanda al Dpr che però non vale per le acque solfuree di competenza della Regione che delega l’Arpa la quale si rifà al Dpr che non vale per le acque solfuree… D’altronde (sempre secondo la Pisana), non essendoci consumo umano, la questione va inclusa nel catalogo “rischi nulli”.

Quel che segue è altrettanto paradossale. Perché l’azienda prende atto dei rilievi ai quali risponde con delle controanalisi. Quando e come è compreso nei “tempi tecnici”, frase fatta di grande frequentazione. Quanto passa tra i prelievi dell’Arpa e le successive, eventuali, magari addirittura indispensabili, soluzioni? Non c’è limite, almeno fissato da qualche parte. Chiusura degli impianti? Nemmeno prevista.

Un pasticcio? soltanto confusione? Come che sia, un circolo perverso che serve a barcamenarsi in qualsiasi circostanza evitando l’approfondito esame delle cause e degli effetti.

La procedura è semplice: l’Arpa dopo aver prelevato i campioni in diversi punti dello stabilimento nel giro di tre giorni ha inviato i risultati (preoccupanti?) alle autorità (competenti?): la società Acque Albule, nella persona dell’amministratore Bartolomeo Terranova, e al socio di maggioranza Giuseppe Proietti, sindaco di Tivoli; quindi (ma è pro-forma) alla Asl; al sindaco della Città metropolitana, alla Regione Lazio, al ministero della Salute.

L’acqua solfurea non arriva ai laghetti e il ricambio nelle piscine non è più all-time

Cosa dicono le analisi? Delle due pagine di elenco delle tabelle messe in evidenza (la cui qualità deriva da quella degli originali: ce ne scusiamo) è sufficiente riportare la sintesi finale, adeguatamente esplicativa: “I valori del parametro coliformi fecali – annota l’Arpa – relativi ai campioni 9906, 9911, 9913, 9915, 9916, 9917, 9919, 9921, 9922 sono superiori ai limiti” previsti dal decreto. “Nel campione 9919 (spiaggia bambini, ndr) risulta superato il limite (2000/100ml) anche per il parametro coliformi totali. Nel campione 9922 (spiaggia centro sx, ndr) risulta superato il limite anche per il parametro streptococchi totali”. Un quadro per niente rassicurante, acque di fogna.

Effetto? non succede niente. Perché l’eventuale provvedimento può essere adottato soltanto a seguito delle risultanze negative delle controanalisi. Che evidentemente si attestano nel senso opposto, invariabilmente. E chi ha nuotato accompagnato da residui di cacca et similia? Bella domanda. Che non ha risposta. Se aggrada, può consolare il refrain di Peppino Fiorelli e Nicola Valente, “chi ha avuto, ha avuto, ha avuto (…) scurdammoce ‘o ppassato…”. Altro quesito: le indagini riguardano anche la qualità dell’acqua utilizzata nei reparti di cura, anche lì in presenza di valori eccedenti i limiti vengono escluse misure cautelative?

Ma dove “s’annida il nemico”, come è possibile che acque solfuree risultino inquinate? Non una la causa, ma certamente lo stato di abbandono dell’area delle sorgenti delle Acque Albule conduce a una più precisa valutazione. Osservando la foto in alto nella pagina, si può prender nota dello stato dei laghetti: praticamente ne è rimasto uno soltanto, quello della Regina. Colonnelle è una pozza a secco. Mentre, sulla destra, qualche metro in là (a piede libero), si nota un esteso accampamento di nomadi, i quali è possibile abbiano utilizzato le acque per i loro bisogni corporali. Tanto, chi controlla…

Naturalmente non va sottovalutato l’effetto degli sconvolgimenti interessanti la piana tiburtina, i sinkholes innanzitutto, che ha modificato i percorsi sotterranei del liquido non più indirizzato verso le sorgenti fino a ridurne la portata a 300 litri al secondo contro i 3 mila del passato. Con la necessità che l’acqua venga aspirata in profondità e condotta a forza nello stabilimento. La ridotta portata potrebbe aver reso necessaria la conseguente riduzione dei tempi di ricambio.

Infine, oltre ogni particolare della vicenda (e mettendo da parte le considerazioni sulla salute delle persone: tranquilli, se la Regione dice che non si corrono rischi…), preoccupa il fatto che l’inquinamento sia avvenuto. Mentre si ignora ci siano state o meno azioni alla ricerca delle cause. Che verosimilmente affondano nello stato delle sorgenti. Chissà se sono state messe in atto iniziative tese a debellare un fenomeno che mina in radice l’integrità della risorsa acque albule. Perché tutto appare nella normalità. Come se quello fosse un bene privato, di proprietà di una spa e dei relativi azionisti. E non un bene, una ricchezza collettiva, del comprensorio tiburtino e di chi vi risiede. A qualcuno serve un bagno. Alla turca.