Da sinistra, Francesco Agosti, Giancarlo Caselli, Francesco Menditto, Marco Beraldo, Eusebio Ciccotti
TIVOLI-GUIDONIA CONOBBERO SOLTANTO IL TERRORISMO NERO
“ERA IL TEMPO delle Brigate rosse”. Sollecitato da Francesco Agosti, il moderatore di “Agende rosse”, Giancarlo Caselli s’è soffermato sugli anni di Torino, una parte della storia del nostro Paese segnata dalle stragi e dal terrorismo.
Da “semplice” pubblico ministero, dalla metà degli anni ’70 e per il successivo decennio, il magistrato si trovò a indagare su aspetti inediti nella teoria e nella pratica giudiziaria, tutti effetti del “terrorismo di matrice politica”.
Se Caselli si fosse trovato ad operare nel tribunale di Tivoli (inesistente, a quel tempo l’ambito territoriale Tivoli-Guidonia era amministrato da una pretura), non avrebbe dovuto fare i conti con la “brigata Mara Cagol” ma con il circolo “Drieu La Rochelle”, sede di Ordine nuovo, formazione fondata da Paolo Signorelli, insegnante allo scientifico di Tivoli.
Gli effetti di sangue ci furono; e numerosi. Omicidi compiuti esclusivamente dai neofascisti. Dall’agente Marino a Milano ai giudici Vittorio Occorsio e Mario Amato; da Franco Pacifici, fuochista della Pirelli abitante alla “Crocetta” di Tivoli, all’impiegato della Selenia Antonio Leandri. Omicidi commissionati, ideati, eseguiti da Aldo Stefano Tisei, Sergio Calore, Pierluigi Concutelli, Mario Rossi. Quelli del “La Rochelle”.

di TOMMASO VERGA

IL CONTRALTARE (non ancora compiuto; almeno non del tutto) del recente passato: il malaffare dei rappresentanti delle istituzioni, la sequela di crimini acclarati da un tribunale con protagonista la “mafia bianca”, contrapposti a Salvatore Borsellino (il 27 ottobre) e a Giancarlo Caselli (l’8 novembre), due “monumenti” alla legalità. La coincidenza con gli 80 anni dalla fondazione è mera circostanza, per quanto di sicuro benaugurante. Lo sfondo, Guidonia Montecelio, una città che vuole essere rifondata, sin dalle viscere (diversamente, l’11 giugno il sindaco non sarebbe stato eletto con il 31,60 per cento degli aventi diritto).

Plurimi, con distinte specificità, i trait d’union tra attualità e futuro. Dal Movimento delle agende rosse fondato dal fratello del giudice assassinato a Capaci, localmente coordinato da Francesco Agosti, al capo della procura di Tivoli Francesco Menditto, al comandante dei carabinieri Marco Beraldo. Con il patrocinio e la sollecitazione dell’amministrazione comunale. Per una platea costituita dai ragazzi del “liceo scientifico Ettore Majorana”, dai loro insegnanti e da Eusebio Ciccotti, dirigente scolastico (per dirla con Giancarlo Caselli, “stasera ho appreso che preside non si dice più”).

A Guidonia, di un rendez-vous su mafia e legalità non se n’è mai sentito il bisogno. Salvo un episodio che si perde nella notte dei tempi: una minoritaria ma vivace discussione risalente ai primissimi anni ’90, grazie alla venuta in città – era ancora utilizzabile la “sala della cultura” – di Carlo Palermo, Alfredo Galasso e Leoluca Orlando, con Nando Dalla Chiesa, Claudio Fava, Carmine Mancuso e Diego Novelli, il vertice fondativo della “Rete”, un “partito politico italiano di sinistra, attivo dal 1991 al 1999, con una forte caratterizzazione antimafia” si rintraccia su Wikipedia.

Salvatore Borsellino e Paolo Borrometi

Le “famiglie” a Guidonia Montecelio, un pezzo di storia d’Italia completamente ignorata

Nulla e nient’altro. Non per ozio, ignavia o disattenzione. Ma tale era inteso il sistema di relazioni tra “famiglie” al governo di Guidonia Montecelio. Sin dalla nascita, concordi sul “non gradimento” di analisi politiche e sociali. I panni sporchi lasciati in eredità ai successori, dichiaratamente e rigorosamente contrari a qualsiasi lavaggio. Così si è intesa la legalità.

Un pezzo di storia d’Italia. Ignota ai giovani. Perché mai scritta e narrata. Da associazioni, partiti, istituzioni. Men che meno dalla scuola.

Della quale Caselli ha sottolineato la preziosa e insostituibile funzione. Come in questa circostanza: solleticata, la curiosità dei giovani verso la legalità è divenuta interesse, rendendo decifrabile il meccanismo delle regole, le trame e il senso degli esempi, le vicende anche umane dei protagonisti.

Giancarlo Caselli

Dagli eroi morti ammazzati (“Paolo e Giovanni non erano eroi ma servitori dello Stato che facevano il loro dovere”) alla pervasività dell’organizzazione criminale, della capacità di piegare a proprio vantaggio e favore gli organi dello Stato; sollecitati dalle domande dei ragazzi i diversi approfondimenti sul “fuoco amico”.

Agli studenti è apparso interessare un altro tema, di strettissima attualità, il ruolo della fiction cine-televisiva, di grande presa in questo tempo: si corre o non il rischio di esaltare il fenomeno criminale e i protagonisti “veri”? Francesco Menditto ha risposto che l’interrogativo è all’ordine del giorno, se ne sta discutendo. Ed è uno dei focus dell’appuntamento sugli “stati generali contro le mafie” promossi da “Libera” di don Ciotti. Per Giancarlo Caselli “dipende da come la materia viene trattata”. Un esempio (da non propagandare si direbbe), Il capo dei capi su Totò Riina.

Francesco Menditto

Quando “la mafia non esiste” o l’associazione mafiosa non è un reato

Una narrazione che ha consegnato a larga parte della platea l’idea di legalità secondo Pio La Torre e il ministro Virginio Rognoni, e quella legge del 1982 a loro intestata, che introdusse nel codice penale il 416bis, più noto come il sino ad allora inesistente reato di associazione mafiosa, introduttivo alla confisca dei beni. Ed anche magistrati e servitori dello Stato come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Antonino Caponnetto, Rocco Chinnici, Peppino Impastato. Alcuni dei tanti caduti per mano dell’organizzazione criminale, in un’epoca in cui non solo nello Stato prevaleva la parola d’ordine “la mafia non esiste”.

Una due giorni dalla quale si ricava l’auspicio che il “testimone” della staffetta sia passato ai giovani. L’importante è che non si perdano di vista.