di TOMMASO VERGA
LA RM5 (LA ASL DI TIVOLI) ha il direttore generale. L’ha designato Davide Barillari, consigliere regionale, ricavando uno spazio nello sterminato florilegio – mi-dimetto; non-mi-dimetto dal movimento 5stelle – sul profilo Facebook di colui che davanti allo specchio della strega cattiva si attribuisce la corona di «ultimo in Regione Lazio a combattere». E’ il 4 settembre. Si legge: «Rinviato a giudizio, il re del Lazio Zingaretti lo nomina Dg della Asl Roma 5 – Rinviato a giudizio per abuso d’ufficio a Catania, Giorgio Santonocito, nuovo Direttore Generale della Asl Roma5 nominato da Zingaretti». Nel testo: «Questa notizia non ha evidentemente preoccupato nessuno alla Pisana. Non si spiega infatti come alla Commissione di Esperti e soprattutto a Nicola Zingaretti possa essere sfuggita una simile notizia quando ha posto la sua firma alla nomina di Santonocito…».
Il quale neppure per un giorno, per un’ora, per un minuto, è stato direttore generale della Rm5. Mentre, dal 4 aprile 2019, lo è, ininterrottamente, dell’Azienda sanitaria provinciale di Agrigento. Dunque, un fake. Firmato: Davide Barillari. Oggi, a Tivoli, tutto è come riportato da hinterland già il 21 luglio: «La Regione nomina i 5 direttori generali della sanità»; «Ma dovevano essere sei!»; «Sì, ma quello della Asl di Tivoli non c’è, è scomparso, l’hanno cancellato».
Il manager siciliano, è noto, ha partecipato all’esame romano. Che ha superato (figurarsi, con quel curriculum). Poi però, almeno finora, non è stato nominato al vertice d’alcunché. Nemmeno di Tivoli che sicuramente necessita di un direttore generale. Tra l’altro, il commissario in carica «scade ad agosto 2019». E’ quanto si legge in una interrogazione del 1° agosto al presidente del Consiglio regionale Mauro Buschini dei consiglieri della Lega. Interrogazione che chiede quali siano le cause che impediscono la nomina del dg della Rm5. Chissà perché Barillari non l’ha letta.
Si aggiunga la «richiesta» di rinvio a giudizio, risalente a inizio dicembre 2018. «Richiesta», come riporta la stampa dell’Isola. A iniziativa del Codacons: la procura di Catania ha chiesto l’avvio del procedimento per abuso d’ufficio, a causa di un incarico da 40 mila euro conferito nel 2015 e prorogato nel 2016 come medico esterno a una dottoressa (non indagata) dell’ospedale Garibaldi.
In attesa dell’esecuzione della condanna – dall’ergastolo al «in ginocchio dietro la lavagna»: nel codice Barillari le procedure giudiziarie si applicano a fine pena –, il tema si presta a un’altra riflessione. Perché il consigliere è presidente della Commissione regionale di vigilanza sull’informazione. Uno che ha firmato insieme con Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il protocollo che intende combattere le fake news, le notizie false. In altre parole, un modo di imbavagliare la stampa. Che però può avere i suoi pregi: Barillari sarebbe stato censurato (da chi è altro argomento).
Finita qui? Tutt’altro. Visto che sulla «richiesta di rinvio a giudizio» il consigliere regionale s’adombra perché «non si spiega infatti come alla Commissione di Esperti e soprattutto a Nicola Zingaretti possa essere sfuggita una simile notizia». «Simile notizia»?
Ora, oltre alla «competenza» mostrata su una condanna-preventiva, ci si chiede perché il consigliere grillino non ha controllato la veridicità o meno della nomina di Santonocito a direttore generale della Rm5. Controllato direttamente, visto che occupa una poltrona per cui viene lautamente retribuito, come direbbero i suoi amici leghisti. In virtù della quale discende inoltre la formazione della commissione Sanità, della quale è componente. Commissione che si occupa anche di verificare le nomine. Come è stato per i nominativi dei dirigenti. Il che vuol dire che Barillari s’è distratto due volte: durante il concorso e sull’esito finale.
Un infortunio? Probabile. Se non fosse che su quello stesso esame Barillari ha scritto di sospetti sull’intromissione della massoneria. Così, senza precisare, specificare, aggiungere un qualsiasi dettaglio. E’ tutto dire.
Anzi, no: perché se la scelta per far saltare l’accordo movimento 5stelle-Partito democratico è quella dei falsi non c’è paragone che tenga.