di TOMMASO VERGA
DUE DITTE individuali; due società di capitali; una partecipazione societaria; un terreno con impianto eolico sito in Civitacampomarano (CB); un secondo in Avigliano (PZ); un altro con tanto di fabbricato funzionale a questo terzo impianto eolico, a Potenza; 12 terreni e 15 fabbricati a Gela; venti rapporti bancari e quattro mezzi. E’ quanto ha sequestrato ieri la Dia di Caltanissetta su provvedimento della Sezione misure di prevenzione del locale tribunale, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura nissena.

Santo Valenti

Oggetto della misura restrittiva, Santo Valenti, 57enne di Gela (dove sconta l’obbligo di dimora), ritenuto dagli investigatori il «sodale» d’alto grado di Salvatore Rinzivillo, ossia Cosa Nostra di Gela.
Secondo la Dda, ufficialmente il personaggio era grossista nell’ortofrutta del Car, il Centro agroalimentare di via Tiburtina, un «graduato» della famiglia gelese che nel tentativo di scalata al vertice di Cosa nostra, prevedeva la costituzione di una asse tra i grandi impianti di distribuzione di frutta e verdura (e fors’anche del pesce) da Catania a Fondi, da Guidonia a Milano. Quindi l’Europa. Unitamente al traffico di stupefacenti e vendita d’armi tra Italia e Germania.
Tutto chiaro. Salvo il fatto che l’eolico e i parchi relativi, da qualche tempo occupano le cronache del malaffare quotidiano. I nomi più illustri, Paolo Arata, ex consulente della Lega di Salvini, ex deputato di Forza Italia; Armando Siri, il senatore leghista accusato di aver ricevuto una tangente di 30mila euro per far approvare una norma a favore della costruzione di impianti eolici; i tre parchi di proprietà di Santo Valenti (e, appunto, sequestrati); Vito Nicastri, imprenditore siciliano con rilevanti interessi nel settore eolico accusato di stretti rapporti con il capo di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro. Si direbbe un comparto più destinato ad oscurare trame che a distribuire vantaggi al sistema-Italia.
L’input di «accendere i fari» su movimenti «atipici» al Centro agroalimentare di Guidonia Montecelio venne da Giovanni Salvi – oggi in corsa per la Procura generale della Cassazione in alternativa ai problemi causati dal duo Lotti-Palamara –. Del Car, il magistrato parlò pubblicamente subito dopo il trasferimento da Catania a piazzale Clodio. Una sottolineatura non a caso, con molta probabilità dettata dall’esperienza maturata nel tribunale etneo.
Gli atti giudiziari che hanno preceduto l’emissione del provvedimento di ieri, hanno permesso di definire il curriculum di Santo Valenti sin dal pubblico esordio. Che risale al «pizzino» recapitato a giugno 2015 ad Aldo Berti il romano proprietario del famoso «Caffè Veneto», nell’omonima via ovviamente: «Siamo giunti ad avere ogni tuo movimento sul tuo conto… Chiama chi hai fottuto e fai il piano di rientro, perché possiamo arrivare prima dei calabresi. Credevi di passarla liscia?».
Telefonata una settimana dopo: «Fai il rientro con Santino». Nessuno stupore. Dalle due parti delle cornette, sanno perfettamente di cosa si tratta. Un credito vantato da Santo Valenti per una «fornitura obbligata» – «o prendi quanto ti ordino o sono c… tuoi» (ma si scoprirà poi), una partita assegnata alle nipoti del proprietario del bar, le sorelle Cinzia e Alessia Berti, eredi di un’attività all’ingrosso nel Centro agroalimentare romano.
Minacce, messaggi intimidatori e via di questo passo. Nemmeno pensabile di opporsi al grossista. Immaginazione non assente invece nel boss. «Chiama il ‘recupero crediti’» la «dritta» suggerita al luogotenente (che nel frattempo sta organizzando la «filiera del Car»). Così il barista e le nipoti si sarebbero trovati «fare i conti» con un «esattore» appartenente alla famiglia Casamonica. «Ramo» Romanina. Fortuna è intervenuta in tempo la Dda di Roma.
Alla quale si deve l’intervento negli affari illeciti del clan di Gela. Azione che il 4 ottobre 2017 (una ricorrenza…) segnò il tramonto delle ambizioni suprematiste dei Rinzivillo (a cominciare da Cosa nostra isolana).

Salvatore Rinzivillo

Due le operazioni antimafia a quella data, denominate «Druso» e «Extra fines», che interessarono Sicilia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Colonia in Germania. Al centro il traffico di droga, di armi e di automobili. Provvedimenti cautelari in carcere per 37 persone (in parte già in carcere): Salvatore Rinzivillo, 58 anni (ridimensionato il ruolo di «capo» del sodalizio e quindi condannato a dieci anni e otto mesi di reclusione dalla Corte d’appello, a fronte dei quindici anni e dieci mesi al termine del giudizio abbreviato). Assolto, invece, Giovanni Ventura, che in primo grado era stato condannato a tre anni e otto mesi imposti dal gup. Condanna ridotta a Rosario Cattuto, tre anni e sette mesi di reclusione. Così come a Paolo Rosa (sei anni e sei mesi rispetto ai sette anni e otto mesi di primo grado), Angelo Golino (quattro anni e sei mesi a fronte dei sei anni e otto mesi di primo grado) e al carabiniere Cristiano Petrone (tre anni e sei mesi rispetto ai quattro anni e sei mesi decisi dal gup).
Della «cellula operativa» in Germania, Salvatore Rinzivillo aveva affidato la gestione al «luogotenente» Ivano Martorana, mentre in Sicilia poteva contare su Ferracane nel ruolo di «grossista». Le indagini portarono alla luce contatti con criminali turchi e con la ‘ndrangheta reggina. La più significativa, con Antonio Strangio, di San Luca (RC), autore della strage di Duisburg del ferragosto del 2017.