di TOMMASO VERGA
IL 4 NOVEMBRE ha versato più di un milione di euro nelle casse del Comune. Una somma dovuta dal ministero della Giustizia, che Guidonia Montecelio non riusciva a introitare dal 2007. Tanto da aver perduto due anni con la prescrizione. Brindisi per la vittoria? Niente affatto. Anzi: è stata dimessa. Così il ringraziamento di Michel Barbet (e dei consiglieri grillini) ad Adriana Calì, autrice del recupero, (ex) assessore alle Risorse umane, esperta di dinamiche e procedure relative ai fondi strutturali europei. In carica dal 12 giugno scorso.

Il milione versato il 4 novembre dal ministero della Giustizia a favore del Comune di Guidonia Montecelio

Il motivo del benservito? Non si conosce. Né è facile da raccapezzare. Adriana Calì s’era dimessa – non formalmente; un’arrabbiatura più che altro –, per come era stata gestita la «diffida» ai 46 lavoratori del Comune. Timoroso che non confermasse (come in effetti è stato), le sue non-dimissioni sono state fisicamente protocollate da Michel Barbet (legittimo?). A quel punto, per sfinimento si immagina, l’interessata ha archiviato il «caso» che la riguardava, conservando lo splendido ricordo di Guidonia Montecelio (e soprattutto del savoir-faire del sindaco).
Così il numero è raddoppiato. Al «caso Davide Russo» s’è aggiunto il «caso Adriana Calì». Entrambi assessori a Guidonia Montecelio, entrambi fuori-dentro-quasi-fuori dalla giunta monocolore 5stelle. Se avessero supini convenuto sulla «comodità» delle dimissioni (richieste a entrambi e non ottenute), il governo cittadino avrebbe potuto proseguire nella navigazione a vista sotto la guida di Michel «Crono» Barbet.
Sarebbero rientrati dissensi e dissidi, non si parlerebbe di crisi dell’amministrazione comunale e del movimento 5stelle. Invece l’equivoco continua. Con la delega sulla definizione della rotta al «movimento-defenestrazione». Sarà inevitabile la fine traumatica della consiliatura, con le elezioni anticipate che non potrà evitare nessuno. Un esito che oltretutto farebbe saltare la plausibile convergenza elettoral-programmatica tra «zingarettiani» e 5stelle. Fantastico per le destre. Per quanto divise. Come sono.
Tra i contrassegni distintivi, coccarde orgogliose del movimento 5stelle all’apertura, c’era una volta il rinnovamento della politica, lo stilema della diversità, il tratto caratterizzante rispetto agli «altri», i vituperati «altri». Trasformati in ospiti di un cerchio dell’inferno dantesco. Esemplare in tal senso la danza sulla «presa del Palazzo d’estate», il tribalismo della notte del 26 luglio del 2017, manifestazione dimenticata a due anni e mezzo di distanza. Non per colpa della confusione subentrata dopo l’esordio al governo di Guidonia Montecelio, quanto per il fatto che si è misurato l’abisso tra le enunciazioni e la pratica.
Ma («comunque») c’è l’«onestà» si ribatte. Una sorta di riflesso pavloviano. Lo schiamazzo di un borbottio. Che s’affievolisce se replichi dicendo che «onestà» non è soltanto mazzette, appalti, posti di lavoro, escort, ma una scelta che tira in ballo onorabilità, etica, rispettabilità, una serie di virtù. Qui si capisce che tornare alla diversità, ripristinare le differenze con gli «altri», è tema non più all’ordine del giorno. All’interno del quale è subentrato – si definisce così – il «primato della politica». A patto di non qualificarne la qualità. Tanto è vero che la giunta di Guidonia Montecelio non intende sottrarsi alla spirale del «o così o scendi».
La sintesi conduce alla presa d’atto di una condizione paradossale: la rappresentanza politico-amministrativa, indifferente se maggioranza e minoranza, governo e opposizione, tutta, per motivi uguali e contrari, è abbarbicata al pronunciamento di due consiglieri comunali, Angelo Mortellaro (presidente del Consiglio; 46 voti di preferenza alle «amministrative» del 2017) e Laura Santoni (sua vice, 239 voti).
Per chiarezza, tutto ha avuto inizio con il «caso Russo». Era il 30 ottobre 2019, il Consiglio comunale respingeva una interpellanza delle opposizioni nella quale si chiedeva l’allontanamento del vicesindaco e titolare della Legalità, Davide Russo. Motivo, assessore a Guidonia Montecelio e consigliere comunale a Bronte. I promotori di quell’atto ritenevano il doppio incarico incompatibile per legge. Sbagliavano. Il ministero dell’Interno, per due volte, ha negato qualsivoglia illegalità.
Brindisi per la vittoria? Niente affatto. Anzi. Un dirigente di partito, un amministratore – a maggior ragione un sindaco –, ne avrebbe preso spunto per illustrare alla sua città la bontà e la giustezza della propria posizione. Magari accusando gli oppositori di strumentalità.
Avvenne il contrario, a comunicare fu il duo Mortellaro-Santoni, che comunicò a ogni udiente – la notizia venne riportata anche dal Messaggero – che se Michel Barbet non avesse «licenziato» Davide Russo, sarebbero transitati nel gruppo misto, uscendo dal movimento 5stelle. Una posizione esattamente identica a quella dell’opposizione alla maggioranza pentastellata. Nei quali, in quel momento (l’humus era già presente), si consolidò la scelta dell’«altra» politica. Mai respinta né sconfessata dal sindaco.
Le orecchie maggiormente attente alle «mosse» del duo Mortellaro-Santoni si sono mostrate quelle delle opposizioni. Al plurale. Unite nelle «mosse». Quella interna ai 5stelle oggettivamente alleata con l’altra, «istituzionale». La prima spera che il sommovimento porti alle scioglimento del Consiglio e alle elezioni anticipate. Sola ambizione dell’altra, rimediare uno strapuntino, un incarico, un titolo, un assessorato. Purché non alla Legalità: della delega non ce ne sarà più bisogno, nell’esecutivo non la chiederà nessuno. Se Michel Barbet «licenzia» Russo verrà abrogata. E potrà riprendere la partita di pallone.