di TOMMASO VERGA
IL PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO: è «escluso l’impiego terapeutico termale dell’acqua minerale denominata “Acque Albule” mediante bagni in piscina». Il decreto, il numero 2243, risalente al 1984, controfirmato dall’assessore regionale alla Sanità, Rodolfo Gigli, non ha mai subito modifiche. Quindi, «vendere» l’acqua delle piscine della spa Acque Albule come minerali o termali a fini salutari, costituisce un atto decisamente contrario alle disposizioni di legge (così come contrario al buon senso, un tuffo da 20 euro nella piscina alimentata dalla «vile» H2O).
Per memoria, il decreto faceva seguito alla chiusura degli impianti dell’allora Bagni di Tivoli, dovuta alle analisi del liquido delle piscine. Un gesto «politico», autore Democrazia proletaria. I cui rappresentanti chiesero di esaminare la purezza dell’acqua delle terme a un analista privato ricavandone esito negativo.
Mise fine alla polemica tra il partito politico e la direzione delle terme il pretore di Tivoli, Giuseppe Renato Croce, il quale decise che gli impianti andavano chiusi. A causa dell’inquinamento dell’acqua. Di qui l’apposito decreto della Regione Lazio.
D’altra parte trattavasi di soluzione obbligata, in quanto il medico provinciale, con decreto del 24 gennaio 1975 (protocollo 37/4/11147) aveva autorizzato la «Acque Albule spa» all’esercizio dei suoi stabilimenti in Bagni di Tivoli, «a condizione che siano osservate le norme che disciplinano le utilizzazioni igieniche e terapeutiche delle acque minerali», consequenzialmente al prefetto di Roma, il quale, con il provvedimento del 21 ottobre 1948 (protocollo 12065), consentiva «l’esercizio permanente degli stabilimenti comunali delle Acque Albule a condizione che siano osservate le norme che disciplinano le utilizzazioni igieniche e terapeutiche delle acque minerali».
Il problema che non risulta abbia interessato (e interessi) i responsabili dell’azienda, è la conseguenza dell’atto, l’impedimento – da quel tempo – per le Acque Albule di godere per le piscine della classificazione che le vorrebbe distinte sia dai laghetti del Barco – per riportare il tema all’attualità – che dal liquido della vasca del bagno domestico: entrambi non propongono l’uso terapeutico non essendo «acque minerali termali». Alla pari di quelle delle terme proiettian-terranoviane.
Perché «è definita acqua minerale, l’acqua minerale naturale le cui particolari caratteristiche chimico-fisiche e batteriologiche, la rendono utilizzabile per fini terapeutici» la definizione, a similbugiardino farmaceutico.
L’atto del prefetto di Roma si potrebbe dichiarare capofila di una sequenza di «precisazioni». Che costrinsero l’azienda parapubblica di Tivoli ad adottare soluzioni che tenessero conto del carattere «effettivo» delle attività – oggi si definirebbe layout –, fino all’adozione di due diverse e separate adduzioni, una per le piscine e l’altra per il reparto sanitario dove vengono erogate prestazioni in regime di convenzione con il Ssn (il Servizio sanitario nazionale). A conferma che nelle due distinte condotte scorrono acque di natura diversa e che, come constatato ed autorizzato nel decreto della Regione Lazio, nelle piscine confluiscono acque che non possono definirsi «minerali o termali».
Una situazione che trova ulteriore conferma nella comunicazione del 13 ottobre 1989 (protocollo 70400) del vicovarese Violenzio Ziantoni, assessore a sua volta alla Sanità della Regione Lazio, nella quale si ribadisce un piano di sorveglianza dell’acqua delle piscine dello stabilimento Acque Albule di Tivoli: «Determinazione, con frequenza settimanale, dei parametri di cui all’allegato 1 al Dpr 8 giugno 1982 n. 470, con esclusione dei parametri ph, trasparenza e ossigeno disciolto».
Tradotto, si nota che l’intera valutazione si rifà al Dpr 470, che non regolamentava l’utilizzazione delle acque minerali termali, bensì delle comuni acque superficiali, come quelle dei fiumi e dei laghi, destinabili alla balneazione, prevedendo controlli settimanali, nel mentre quelli per le acque minerali/termali erano più frequenti e severi. Oggi nulla è cambiato, visto che l’acqua delle piscine della «spa Acque Albule» è analizzata ugualmente ai sensi del Dpr 470, quindi con limiti di inquinamento chimico e microbiologico più permissivi.


A sorreggere la tesi, è utile recuperare alcuni «passaggi» della sentenza del tribunale d Tivoli del 7 luglio, un mese fa: «(…) Sebbene non esista un quadro organico che raccolga le successive modificazioni, le acque termali appartengono alle acque minerali naturali; attualmente, il riconoscimento di un’acqua termale prevede l’acquisizione della stessa documentazione delle acque minerali: n. 4 analisi microbiologiche, n. 4 analisi chimiche e chimico-fisiche nel corso di un anno, indagini idrogeologiche, clinico-fisiologiche e farmacologiche; secondo la definizione contenuta nel D.Lgs. 8-10-2011 n.176 “sono considerate acque minerali naturali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e proprietà favorevoli alla salute».
Nella sentenza del tribunale nessun accenno però al fatto che la subconcessione riguardava l’utilizzazione esclusiva di acque minerali/termali per fini terapeutici e non certamente le comuni acque per balneazione, quali sicuramente sono quelle che riempiono le piscine della «spa Acque Albule», diversamente regolate dal Dpr 470, come quelle dei «laghetti del Barco», che non hanno mai avuto ambizioni di termalismo e che quindi non hanno mai violato tale esclusiva.
Vero è che la «spa Acque Albule» ha continuato ad attestare che «tutte e quattro le piscine, di cui alla descrizione, sono alimentate ad acqua minerale sulfurea a ricambio continuo…»: come testualmente si legge nella domanda di rinnovo della subconcessione, in particolare dell’allegata relazione tecnica (protocollo 15842 del 23 maggio 2000). Domanda accolta nella delibera di giunta 446 del 27 dicembre di quell’anno
Per effetto, la subconcessione venne rinnovata, quindi gli organi comunali hanno ignorato non soltanto i decreti di declassamento del presidente e dell’assessore alla Sanità della Regione Lazio rispettivamente n. 2243/84 e n. 70400/89, ma fatti notori che avevano avuto ampia eco nella cittadinanza e nella stampa locale. Dati i precedenti, varrà la pena dare un’occhiata alla concessione (valida fino al 2031) di due anni fa.
Come si vede, nella vertenza «laghetti del Barco»-spa Acque Albule, le sorprese non mancano. Ma ancora non sono terminate.