di TOMMASO VERGA
LA DOMENICA MATTINA a Fiano Romano, il mercoledì a Roma. Un tour, quello di Alessandro Di Battista, utile ad illustrare la propria piattaforma, sintesi di un’idea dello Stato e della politica oggettivamente «altro» rispetto al percorso intrapreso dall’«ex gemello» Luigi Di Maio, un «modello» che punta a trasformare il movimento 5stelle in partito. Come dire che la separazione sulla quale, in buona fede o meno, molti si interrogano e che si ventila, è in corso, è in atto, aldilà dei pannicelli caldi stesi non sempre al sole, con l’intento di ricomporre il clima giorno dopo giorno.

Alessandro Di Battista a Fiano Romano, la mattina di domenica 11 ottobre

Il punto di partenza è stato fissato nel quadrante a nord-est della Capitale. Che per il movimento 5stelle costituisce una entità territoriale unitaria. Il disegno risale all’atto della fondazione, allorché si poneva come sfida alle altre forze politiche. Non tutte, perché qualcuna considera(va) l’extraurbano il riflesso di una appropriata organizzazione della vita di partito. Basti pensare al dibattito sulla formazione delle aree metropolitane poi sbrigativamente concluso con la liquidazione delle Province e l’introduzione dell’elezione di secondo grado, con i consiglieri municipali che si eleggono tra di loro. Un ente inutile.
L’incontro numero 1 si è svolto a Fiano Romano, l’11 ottobre, di domenica mattina. Riuniti i quadri dall’asse tiburtino a Fiumicino. Una vastità territoriale che non ha trovato corrispondenza nella riunione. Significativa l’assenza di rappresentanti dell’area est, Da Tivoli a Guidonia Montecelio, il Comune più grande della provincia romana. Forfait clamoroso quello di Michel Barbet, il sindaco; della sua città unico presente il consigliere Claudio Caruso.
L’area, così come viene frequentata, ci si chiede se fornisce elementi utili a individuare una qualche peculiarità programmatica: cosa hanno in comune tra loro il capo est di Fiumicino, quello nord di Civitavecchia, l’ondulata enclave tiburtina, i paesi di antica formazione lungo il corso del Tevere o sulle colline dell’Aniene o del Giovenzano? Si può ricavare qualche motivo che aiuti la politica a definire i contenuti dell’azione di governo?
Una serie di domande che si sperava trovassero risposta negli intervenuti alla riunione. Niente da fare. Si è capito sin dall’inizio che il confronto sui temi caratterizzanti un programma non erano all’ordine del giorno. La conferma l’ha offerta la diserzione di Virginia Raggi, sindaca della Città metropolitana, e di Teresa Maria Zotta, la «vice», delegata ad affrontare le tematiche della «cintura».
Assenze che hanno impedito di affrontare ed approfondire la causa essenziale degli squilibri del «sistema Roma», l’assenza di una legge nonostante il consumo di risorse causato dal dover affrontare i compiti propri della città-capitale, e del pendolarismo, forse 4-500mila entrate-uscite quotidiane con relativa fornitura di servizi senza alcun corrispettivo in termini di tributi. Sono le questioni essenziali e prioritarie che nessuno, compreso Alessandro Di Battista, unica star presente all’incontro, ha affrontato.
Nell’intervento a Fiano dell’«altro» capo del movimento 5stelle, alternativo a Luigi Di Maio e ai «governisti» – «Una distinzione falsa, abbiamo approvato leggi straordinarie» ha detto Di Battista, senza trovare difficoltà a coniugarsi con «La gente non ci vota. Il principale motivo è non siamo coerenti con la nostra identità» –. Separando il grano dal loglio, qualche spunto è sortito. A gratificazione di quanti hanno governato senza smarrire il feeling con i temi fondanti il M5s, l’ambiente primo fra tutti. Nonché a soddisfazione dei presenti Valerio Novelli e Daniele Ronci, «facitori», con il supporto delle associazioni protezioniste, della proposta di legge regionale sull’ampliamento del parco dell’Inviolata, che ricalca quasi interamente il perimetro ministeriale del «vincolone» del 21 marzo 2016.
In ossequio all’attualità, la segnalazione del primo passo: il 15 ottobre la pubblicazione della notizia della proposta di legge sul Burl – il Bollettino ufficiale della Pisana –. Contro si sono già organizzati gli oppositori, riuniti nel club degli «amici del Tmb», l’impianto di trattamento dei rifiuti costruito da Manlio Cerroni all’interno dell’Inviolata. L’approdo positivo a cura del movimento 5stelle e Partito democratico, a sostegno della proposta le firme dei loro consiglieri regionali.
Nonostante il timido cenno polemico sul governo della Raggi, relativo ai rifiuti capitolini (sul quale, Di Battista compreso, s’è esercitato più d’un intervento) anche sull’ambiente gli intervenuti si sono mostrati in forma «tattica», in un contesto dipendente dall’interesse spasmodico di valutare lo stato dei rapporti interni al movimento. Domanda clou: si andrà agli stati generali per confermare la scissione?
Un punto di domanda rimasto tale, non esaurito neppure dall’assemblea successiva a Roma, con Virginia Raggi, Paola Taverna e, di nuovo, Alessandro Di Battista. Altra tappa, ripetitiva, del continuo analizzare le condizioni da ricercare per uscire, tutti insieme, dallo stato di crisi riconosciuto dagli stessi dirigenti pentastellati.
La presenza-bis ha consigliato Alessandro Di Battista di non puntare nel suo intervento sulla genericità del contenuto come a Fiano. Secondo le sintesi riportate dalla stampa, nell’incontro di Roma l’ex parlamentare ha ribadito la necessità di «andare da soli alle elezioni», con «nessuna modifica alla regola dei due mandati». In realtà, Di Battista s’è soffermato anche su altri aspetti, ritenuti utili e necessari a specificare le proprie condizioni per non andarsene dal Ms5. Non declamate ma messe nero su bianco in una mozione (complicato capire l’attinenza con l’ordine del giorno, nella parte dedicata alla ricandidatura di Virginia Raggi).
Una mozione che, nel merito, risulta un compitino somigliante più allo Statuto di un nuovo partito ignorante com’è  dell’esame delle condizioni del movimento 5stelle. Della «mozione Di Battista» se ne discuterà fra tre settimane, il 7 e l’8 novembre a Roma. Senza aggiungere nulla a quelle che risultano delle oggettive contraddizioni, ci si chiede cosa se ne farebbe il nostro Paese delle “regolette” che permeano il documento di Alessandro Di Battista, risalenti alle dottrine della Destra sociale. Gli accordi tra Pd e M5s guardano altrove.