di GIULIANO GIRLANDO
LA DELIBERA di giunta è del 20 gennaio, stamattina la pubblicazione: il sindaco di Tivoli, Giuseppe Proietti, insieme ai suoi assessori – assenti Serafino Caucci e Urbano Barberini -, ha deciso di avviare uno “studio di fattibilità finalizzato alla eliminazione del muro di Ponte Lucano” ed alla salvaguardia della pubblica incolumità nell’area urbana di Villa Adriana dalle potenziali esondazioni del fiume Aniene. Nelle premesse, si evidenzia che “le pompe idrovore ed il muro in calcestruzzo posti a presidio della zona abitata di Villa Adriana si sono rivelati inidonei e comunque insufficienti allo scopo di annullare il rischio da inondazione dell’area, e che invece arrecano grave pregiudizio al deflusso delle acque meteoriche, e che posti come sono in margine all’accesso alla città ed ai suoi più eminenti monumenti, arrecano detrimento all’immagine della medesima che ospita ben due siti del patrimonio riconosciuto dall’Unesco e che infine l’immagine stessa del ponte e del mausoleo, che figurano tra i più importanti monumenti dell’architettura romana, subisce grave depauperamento dall’invasività di tali opere di presidio”.
Praticamente, l’atto della giunta ricolloca il “caso muro della vergogna” nell’ambito del comune sentire dei tiburtini, ripristinando la sintonia tra città e amministratori. Non v’è dubbio infatti che a Tivoli ben difficilmente è possibile trovare chi concorda con la realizzazione di quell’opera. Salvo gli ideatori e i costruttori ovviamente. Che mantengono il punto. Tuttora. E dire che già nel 2005, con la sottoscrizione di un “protocollo d’intesa”, il ministero dei Beni culturali e le decentrate soprintendenze, l’autorità di bacino del Tevere, la Regione Lazio, il Comune di Tivoli e l’Ardis (Agenzia regionale per la difesa del suolo, oggi liquidata), non escludevano l’ipotesi del ricorso a opere idrauliche finalizzate proprio all’abbattimento della cintura che oscura il Sepolcro dei Plauzi.
Che poi quello stesso “protocollo” abbia avuto come sorte effettiva il rafforzamento delle opinioni favorevoli, fa parte degli aspetti imperscrutabili della politica e dei suoi gestori. Resta il fatto, comunque, che la delibera di giunta, netta negli intendimenti, ribalta tutta l’impostazione sin qui seguita. Compresa la bocciatura di quanto realizzato dall’Ardis. Sull’Agenzia e le sue opere occorrerà tornare quando sarà possibile leggere gli atti (ma il sospetto è che non ce ne siano) del Consiglio comunale di Tivoli a proposito delle autorizzazioni rilasciate in variante di Piano regolatore.
Nella delibera si legge che la giunta di Tivoli “considera la necessità che vengano studiate soluzioni alternative ai fini della difesa idraulica (rispetto alle esondazioni dell’Aniene, ndr) che consentano la rimozione del citato muro in calcestruzzo” incaricando il dirigente del settore perché si provveda a “uno studio di fattibilità per la messa in regime dell’area, per la salvaguardia dalle inondazione del costruito, delle persone e delle cose, per la demolizione del muro di protezione (del Sepolcro, ndr) dalle potenziali esondazioni”. Lo studio dovrà comprendere la superficie territoriale posta “tra le cascate a monte del ponte e il tratto a valle”. In conclusione, la decisione di ricercare un professionista con titoli e curriculum adeguati.
Un ripensamento del sindaco e della giunta? Possibile (ammesso che nell’esecutivo ci siano sostenitori del “muro”). Più probabile l’approfondimento del tema dopo qualche “leggerezza” presente nella fase iniziale. Più direttamente, in quella conferenza-stampa che annunciava l’alberatura dell’area antistante il monumento per nascondere il “muro”: annuncio che ha avuto il pregio di far riemergere saperi presenti nelle associazioni ambientaliste e protezioniste di Tivoli. I quali, senza dubbio, hanno pesato e influito positivamente nel confronto con Giuseppe Proietti e sulla decisione attuale. Obiettivo: riportare il Sepolcro dei Plauzi tra i “beni comuni”.
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