tab referendum locale lungadi TOMMASO VERGA

“Il 40 PER CENTO degli elettori ha votato per Matteo Renzi”. Versione a edulcorare la batosta subita dal dimissionario presidente del Consiglio, un refrain quasi, utilizzato dagli argomentatori dei motivi della sconfitta post-consultazione referendaria. Un “ha perso il Sì però…” che ad altro non serve se non a ribadire la malefica personalizzazione del voto nel referendum costituzionale di ieri (e dire che già ai loro tempi i “padri fondatori” della Carta affermavano che l’esecutivo non dovesse entrarci). Così, sembra quasi fuori luogo per costoro convenire  su una semplice constatazione: le proposte di modifica non hanno convinto gli italiani e sono state respinte. Affermazione ancor più valida quando messa a confronto con l’affluenza dei partecipanti, il 70 per cento degli aventi diritto. Un “ritorno alla politica” dopo anni di percentuali persino inferiori qua e là alla metà degli iscritti nelle liste elettorali. E l’oggetto era la Costituzione. Accompagnato da una domanda che proprio in quel medesimo testo trova consolazione, la “lotta alle diseguaglianze” socioeconomiche. Il risultato non lascia dubbi sulla preferenza degli italiani. A favore della riforma ha infatti votato il 40.9% (13.432.208), contro il 59,1% (19.419.507 schede). Numeri e percentuali davvero imbarazzanti per i proponenti.

Nella Città metropolitana di Roma il palmares del No dev’essere assegnato a Marcellina alla pari di quello del Si (decisamente imbarazzante quel 24,16 per cento). Anche se ovunque le cifre alla chiusura dei seggi risultano ancor più nette. Il No si “sbarazza” dei quesiti, superando di gran lunga il dato nazionale, con la singolarità di tutto il “versante Tirreno” che al Sì assegna risposte residuali. Con due sole differenze, leggermente superiori alla media provinciale, nella Capitale e a Frascati.

A nordest della metropoli, il commento ma prima ancora l’approfondimento risultano terreno oltremodo accidentato. Si consideri un solo, ma evidente e logico, riferimento, Monterotondo. Nella “cittadella rossa” – solo per sintesi di cronaca, nessuno s’offenda –, l’unica amministrata senza interruzioni da Pd e suoi antenati, il Sì raggiunge il 35,56 per cento. Un tempo si sarebbe considerato un affronto, si sarebbero svolte riunioni su riunioni per l'”analisi del voto”, al cui termine non sarebbero mancate dimissioni e/o epurazioni. Nel confronto ora-allora, considerando che il dibattito questa volta investiva i contenuti della Costituzione, non è difficile né arduo presumere che i seguaci del Sì – da Mauro Alessandri, il sindaco, al gruppo dirigente – hanno scelto un “passaggio” che s’è invece rivelato espressione del malessere d’una base con ogni evidenza contraria alla “linea” del partito.

Il pronto soccorso di Tivoli: la sanità, come perdere un referendum

Il pronto soccorso di Tivoli: la sanità, come perdere un referendum

Un paradosso quello del nord-est, che, va ricordato, è l’ambito della provincia di Roma dove i sostenitori della riforma hanno fatto affidamento su due parlamentari (Carlo Lucherini e Andrea Ferro) e un consigliere regionale (Marco Vincenzi). I risultati non li hanno davvero premiati. Di Monterotondo s’è detto (Carlo Lucherini ne è stato durevolmente primo cittadino), gli effetti su Tivoli e Guidonia Montecelio – “la città” di residenza elettorale di Ferro e Vincenzi (per una decina d’anni al vertice della “Superba”) – si debbono classificare devastanti. Per di più, alla vigilia della consultazione, per il Sì s’era speso in una manifestazione pubblica promossa dal predecessore, anche Giuseppe Proietti, odierno sindaco di Tivoli a capo d’una coalizione di liste civiche.

S’è detto “devastanti”. Un aggettivo improprio. Perché, sebbene la somma dei Sì nelle due città appena sfiori i singoli risultati dei No, non accadrà nulla. Si pensi che a maggio 2014 il Pd (l’unico partito a sostenere la riforma costituzionale) a Tivoli raccolse il 36,86% alle amministrative e il 37,35% alle europee; a Guidonia Montecelio il 36,26% (sul nome di Domenico De Vincenzi poi sconfitto da Eligio Rubeis al ballottaggio) e 33,02% per Strasburgo. Ci si domanda come faranno costoro, in rappresentanza degli iscritti e degli elettori, a concorrere al “ritorno alla “politica” nelle città, come potranno riuscire a colmare il solco che li separa dai bisogni della collettività.

Dimissioni di qualche “responsabile” nemmeno a parlarne, a Tivoli, a Guidonia, di nomi circoleranno i soliti, impermeabili e inossidabili. Sempre ossequienti e fedeli, stavolta nessuno prenderà esempio dal “Capo”. L’unico effetto positivo è che tra Sì e No c’è unità: il mistero avvolge l’interpretazione per farne cosa, ma tutti parlano di “primarie”…