di TOMMASO VERGA

Il Car (centro agroalimentare romano)

Il Car (centro agroalimentare romano)

CORREVA IL 25 giugno quando con una delibera apparentemente presa in fretta e furia, la giunta di Guidonia Montecelio decideva di destinare ad attività di vario titolo 155 ettari a ridosso del Car (Centro agroalimentare romano). Occorreva fare presto, perché da lì a 5 giorni scadevano i termini per chiedere il finanziamento del progetto all’Unione europea, per poter beneficiare dei fondi messi a disposizione dal Por Fesr 2014-2020 (Programma operativo – fondi europei). Si può imputare alla scadenza del 30 giugno, ossia al limite temporale, il pastrocchio (diciamo così…) che hanno combinato i vertici di Palazzo Guidoni? Esaminando i fatti è possibile avanzare dubbi e corpose riserve. Perché la portata della decisione, a lume di logica, andava programmato per tempo, richiedendo approfondimenti adeguati alla qualità dell’obiettivo. Si aggiunga che la scelta era accompagnata dall’annuncio della conseguente creazione di 800 posti di lavoro. Tutto, in buona sostanza, non si poteva delegare all’ultima ora ma richiedeva mesi e mesi di studi, consulenze, approfondimenti, preparazione. Per giungere a un “piano d’assetto” e ad un altro “produttivo”. Non escludendo che un capitolo sul “marketing territoriale” sarebbe stato disdicevole o controsenso.

Il nuovo 'ecopolo' di Guidonia

Il nuovo ‘ecopolo produttivo’ di Guidonia Montecelio; il tratto in rosso delimita i 155 ettari

Invece, va ribadito, di un gran pastrocchio si tratta (anche se non è detto che qualcuno, autorizzato dalla legge, non scovi qualche motivo di interesse in più). Per riepilogare. Scelto l’ambito, il Comune di Guidonia Montecelio mette insieme alcuni soggetti, titolari di “spicchi” di quelle proprietà terriere: Carla Ansini, la famiglia Del Fante e la “Santarelli costruzioni spa” dispongono, tutti insieme, di 24,4532 ettari. La restante quantità appartiene alla Asl RmG (72,4309 ettari risalenti all’ex “Pio istituto di Santo Spirito e ospedali riuniti di Roma”) e alla “Nuova Guidonia” di Bartolomeo Terranova & Angelo Donati, una recuperata srl “in sonno”: 58,2920 ha.

All’illustrazione adeguata dei 155 ettari va aggiunta la precisazione che l’osservatore trova il panorama di un pezzo di terra abbandonato. Tutti compresi, allo stato e da tempo immemore. La nuova destinazione d’uso non può non creare positivi riconoscimenti per l’operato della giunta da parte dei titolari. I quali apprendono che la loro brulla prateria è improvvisamente foriera di laute plusvalenze. Ci si chiederà: che c’è di male? Ai fini del tema, diciamo niente, se non fosse che la Asl non ne sa assolutamente nulla, non ha chiesto né le è stato chiesto di partecipare al banchetto. La “pratica zona produttiva nei pressi del Car” ha preso la via delle tappe intermedie verso Bruxelles senza che uno dei contraenti, il più grande oltretutto, sapesse di farne parte. Essenziale.

A regolare i rapporti del partenariato pubblico privato – si leggeva nella nota apposita distribuita alla stampa dal Comune – sarà un protocollo d’intesa che “definirà gli impegni di ciascun soggetto in relazione agli obiettivi, ai contenuti e alle operazioni della proposta di progetto integrato”. Naturalmente ovvio. Così some altrettanto ovvia la considerazione che si definiranno gli impegni tra partner dichiaratamente d’accordo. Uno, sicuramente, non lo era e tale è tuttora, la RmG – e davvero il motivo si tinge di “giallo” – del tutto ignorante della sorte riservata al terreno di sua proprietà. Se ne avesse avuto conoscenza, occorreva comunque adempiere a un obbligo, derivante dalla personalità giuridica. Perché se Santarelli o Terranova, come qualsiasi imprenditore possono decidere senza troppi giri procedurali le “mosse” della aziende in proprietà, l’Unità sanitaria locale, in quanto ente pubblico, ha bisogno di una deliberazione del vertice, del direttore generale. Un atto mai prodotto, inesistente negli archivi della RmG.

Un comportamento, quello della dirigenza, della giunta e del sindaco Eligio Rubeis, improntato a una incredibile leggerezza. Se davvero si voleva realizzare un intervento di livello – aldilà delle critiche di merito già espresse su hinterland del 22 luglio –, la “questione procedurale” avrebbe dovuto avere priorità su tutto il resto delle decisioni. Così non è stato. Con potenziali effetti al limite del paradosso: poniamo il caso che, nel frattempo, quel terreno fosse stato venduto, ceduto a un prezzo “interessante” per le parti. Si sarebbe fatta ricadere la responsabilità sulla Asl? A questo punto inutile continuare, sia come sia, il fascicolo arriva a Bruxelles privo di requisiti essenziali. La speranza è che se ne compili un altro in qualche ufficio giudiziario. Fare chiarezza su come è nata e s’è sviluppata questa decisione è argomento che interessa la comunità cittadina prima ancora che qualche imprenditore.

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