di ELISABETTA ANIBALLI
GUIDONIA MONTECELIO è una città che muove “un mondo invisibile agli occhi”, un luogo dove l’impossibile si materializza, dove acerrimi avversari come Eligio Rubeis (FI) e Domenico De Vincenzi (Pd), già l’un contro l’altro armati nella campagna elettorale del 2014 (candidati a sindaco, avrebbe prevalso il forzista) si ritroverebbero alleati. Tra fantasia e realtà, e sarebbe una bella storia, è di queste ore il miracolo della Tiburtina (sede del locale mangereccio) con l’abbraccio (straordinario tra ex nemici) durante una reunion organizzata dal Richelieu guidoniano per definizione. Alla vigilia dei 90 anni, il senatore emerito della Repubblica Antonio Muratore, avrebbe chiesto ai due unità d’intenti contro il proliferare “anomalo” di liste civiche. Invocando una santissima alleanza al fine di ottenere una degna rappresentanza in consiglio comunale (va bene anche all’opposizione) e una continuità nel palazzo. È l’establishment a muovere strategie, la questione è numerica.
Il Pd continua a perdere pezzi, Domenico De Vincenzi ha chiesto la cancellazione delle primarie a difesa delle quali solo qualche settimana fa si era detto pronto a morire; in un sol colpo ha abolito d’imperio i meccanismi democratici che appena tre anni fa, nel 2014, lo designarono candidato sindaco tutt’altro che unitario, e che condannarono il Pd alla sconfitta, un dispiacere (perdere) che ora il De Vincenzi intenderebbe negare agli altri.
Il centrodestra è dilaniato, orfano di calibri importanti sciamati anch’essi nel civismo; il movimento 5stelle in crescita fa paura e potrebbe espugnare il fortino; le liste civiche coagulano consenso tra i fuoriusciti di destra e di sinistra. Dopo Pino Saccà, la porta democrat tornerebbe a girare a breve per un altro nome di spicco della dirigenza rossoverde, forse due. Una emorragia di big, è la percezione, in fuga da una partita a “perdere” dove la elezione nel parlamentino cittadino sarebbe certa solo per il candidato sindaco, a questo punto (forse) né Emanuele Di Silvio né Simone Guglielmo, e mentre torna a materializzarsi la opzione Marco Rettighieri slittano ancora le primarie, al 23 aprile, dovevano tenersi il 2.
La situazione nel centrodestra è speculare. Giocata tra gli orfani di Bruno Ferraro (nella cui discesa in campo avevano sperato) e quanti affiancheranno Alessandro Messa, sicuramente l’area riconducibile a Rubeis, anch’egli alla ricerca di alleanze per centrare – da candidato sindaco di Fratelli d’Italia più vari ed eventuali – la elezione almeno di un consigliere. In questo quadro frammentato è vitale per l’establishment e per i costruttori di riferimento la conta dei “resti”. Pezzi di potere che si mettono assieme nelle somme di voti e nelle alleanze.
La questione non è solo formale ma dirimente rispetto ai “pesi” in campo (o in Consiglio). Essa passa da progetti (urbanistici) imbastiti negli anni, da rappresentanze elettive (meglio dinastiche) che potrebbero venir meno proprio nella fase esecutiva di quegli stessi progetti (Polo termale, raddoppio del Car, una decina di Piani integrati, tutti più o meno incardinati nei programmi aziendali dei signori dell’edilizia locale, su tutti Bartolomeo Terranova, ma anche i fratelli Bernardini).
Un meccanismo tutt’altro che riconducibile alla volontà popolare che ha consentito in trent’anni di “sanare” quartieri realizzati alla rinfusa dai tre, quattro costruttori di zona. Nel “mondo invisibile agli occhi” che muove interessi nell’agire sottotraccia, il subbuglio è tanto alla ricerca di garanzie che possano arrivare dalle urne. I grillini hanno detto che in caso di vittoria “archivieranno” le lottizzazioni già improntate, laddove proceduralmente fattibile, nel segno di una evidente discontinuità. Le liste civiche muovono in direzioni divergenti rispetto all’establishment e ai costruttori di riferimento.
Aldo Cerroni, il capostipite del civismo cittadino, è vicino, il fatto è noto, all’imprenditore Paolo Morelli, l’anti Terranova per antonomasia se è vero, come lo è, che i due sono in una causa annosa per una fogna realizzata dal patron delle Terme su un’area dello stesso Morelli. Tra i due la vera partita di scacchi si gioca però all’Inviolata. Sui terreni del Parco naturalistico che tanto piace ai grillini, le torri e i cavalli dell’uno e dell’altro si contrappongono alla conquista dell’ultimo agro di latifondo (ex) ancora di proprietà (almeno in parte) delle eredi di Filippo Maria Todini ma opzionati da Terranova e Morelli attraverso la sottoscrizione di compromessi d’acquisto, atti “dormienti” in attesa che la politica amica decida cosa fare.
A dover deliberare è innanzitutto il Consiglio regionale dove le garanzie di Marco Vincenzi, l’ex capogruppo del Pd in assise, potrebbero portare acqua al mulino di chi vuole riperimetrare il parco e come successe in passato, trasformare aree agricole, benché sotto vincolo, in edificabili a vocazione industriale. Ne fanno fede, per citare, i “ritagli” relativi al cimitero, in successione di Marrazzo-Storace per l’impianto di Tmb, l’hub logistico già in opera per il corriere espresso “Bartolini”. Va in questa direzione del resto la scelta urbanistica fatta dall’ultima amministrazione Rubeis, giusto nel maggio del 2015; il piano d’investimenti è quello degli orti sociali, del raddoppio del Centro agroalimentare di Roma (sui terreni già del Terranova), dello sviluppo economico imprenditoriale previsto per gli insediamenti di Tor Mastorta, area intorno alla quale gli affari di Morelli e Terranova si sovrappongono fino a diventare alternativi. Investimenti storici, faccende che muovono il “mondo invisibile agli occhi”, sconosciute ai più. Proprio sull’Inviolata, è la sensazione, si decidono le sorti di queste amministrative.