Teresa Bonelli la prima a sinistra)

Teresa Bonelli (la prima a sinistra)

di TOMMASO VERGA

GUIDONIA MONTECELIO, la Storia si ripete. In modi diversi, identico l’indirizzo: “vietato entrare nell’orto” (e, per economia, non ci si dilunga sull’aggiunta “attenti ai cani”). La relazione: come diavolo è possibile convenire su una proposta, definire le modalità di attuazione, ripensarci a distanza di 24 ore? Non altro suggerisce il “caso Rettighieri”, candidato sindaco della città per l’espace d’un matin. Un “caso”, davvero, che obbliga gli osservatori (ma prima ancora la politica) a più d’una considerazione.

Un pranzo, venerdì. Di lavoro, come usa in tali circostanze. Conosciuto l’ordine del giorno, partecipanti di alto livello e tutti di “colore” Pd (cosa non diversa per ogni altra formazione politica). Che non sarebbero convenuti se non in presenza di un annunciato ripensamento in positivo del manager. L’offerta iniziale a San Giuseppe. Di minor durata la riflessione. Infine il “no”. Diventato “sì” venerdì scorso. L’annuncio alla città (un’intervista) nel pomeriggio di domenica. Nuovamente “no” il giorno successivo.

Nemmeno per ipotesi la possibilità che Marco Rettighieri sia persona poco seria. La Procura di Roma avrà riempito uno sgabuzzino con le denunce inviate in qualità di direttore generale dell’Atac. Dalla quale, a ottobre 2016, la sindaca Virginia Raggi l’ha “fatto fuori” senza addebiti né motivazione. “E’ la politica, bellezza”. L’obiezione: no, s’è dimesso. Appunto, una persona seria.

Se un’annotazione critica va fatta, riguarda semmai il profilo, da annotare però all’interno del tema generale, “ancora cittadinanza in politica ai tecnici”? L’esempio di Mario Monti salvatore della patria non è bastato? Livelli differenti si obietterà. Meglio ancora. La discussione potrebbe inoltrarsi molto. Non è il caso. Ma almeno il rapporto causa-effetto che chiama in causa i partiti – il Democratico nella circostanza – e l’incapacità, a Guidonia senza ombra di dubbio, di far crescere una rinnovata classe dirigente.

Carlo Azeglio Ciampi con Nino Novacco

Carlo Azeglio Ciampi con Nino Novacco

Perché la Storia si ripete? Nel 1994 il centrosinistra a Guidonia Montecelio candidò Nino Novacco. Non un tecnico certamente un “non politico”. Tanto da rifiutare l’apparentamento con la lista di Umberto Ferrucci al ballottaggio. Così vinse le elezioni Teresa Bonelli (che, nel suo partito, Forza Italia, prevalse su un altro aspirante, Bartolomeo Terranova). Auspice Alleanza nazionale, di lì a due anni fu costretta a rinunciare. Un mandato breve. Nessuna doglianza tra gli “azzurri”. Da due anni d’accordo che finisse così.

Al defunto Nino Novacco e Marco Rettighieri era/è comune l’estraneità con il sistema politico-amministrativo guidoniano. Il “vietato entrare nell’orto” valeva allora per il primo (deceduto nel 2011), vale oggi per l’altro.

Altra tavolata. Interpartitica stavolta. In un ristorante sulla Tiburtina, nei pressi di Rebibbia (anche se va al momento esclusa ogni relazione tra commensali e cintura detentizia). Su cosa abbiano argomentato non è difficile arguire: “nessuno estraneo deve entrare nell’orto” la parola d’ordine. Ma quali prodotti coltiva l’”orto”? Semplice, facilissimo: un aiutino, un favore, una raccomandazione, un certificato, sono nella quotidianità, nel segno del familismo, della clientela, del viviamo tutti qui, dei panni sporchi che… (non si lavano perché non ce ne sono). Titoli che valgono ancor più quando salgono le aspettative: la perizia, la variante urbanistica, l’appalto. Soldi, tanti soldi.

Ora, ribadita l’ostilità dello scrivente alla formula dei tecnici prestati alla politica, si prova a simulare l’ottimizzazione del post-ingresso di Rettighieri in municipio. Superata la fase d’abbrivio, il manager si rende conto dei meccanismi che regolano l’“orto”. Così come dell’altissima preoccupazione che, fuori del Palazzo, tra cespugli, piantine, alberelli e alto fusto tutto finirà raso al suolo (si perdoni l’ossimoro). Addio affari e alla consuetudine di realizzarli border e offline. Un “estraneo”, persona per bene, agisce così, compila dossier di denuncia, investe la Procura (quella di Tivoli in questo caso). Guai veri.

Marco Rettighieri

Marco Rettighieri

In una città innervata dalla mafia e dal metodo mafioso di fondazione, indifferente alle regole, che subordina i precetti al tornaconto – a cominciare da quelli costituzionali, la libertà del voto è un esempio –, si invita al “ci prendiamo un caffè?”, melliflua persuasione per far capire il tempo che farà su chi avesse in animo di non gradire i prodotti del fattore.

Se ne ricava che a Guidonia Montecelio tutti possono partecipare ma non a tutti è permesso vincere le elezioni (i 5stelle fanno caso a sé, tanto che i perdenti si alleeranno al ballottaggio. Poi magari finisce come a Tivoli, ma questo è un altro discorso). Perché il prescelto dev’essere catalogato “tra i nostri”, aver superato l’esame di “custode dell’orto”, in modo da garantire seminazione, concimazione, coltivazione, innaffiamento. E i frutti.

In questa condizione, chiunque avesse in animo di guerreggiare farebbe il passo con il timore d’un combattente disarmato. Potrebbe essere la spiegazione del “caso Rettighieri”. Dal “ci devo pensare” al “no”, al “sì”, al “no”. Inspiegabile. Per chiunque, immaginarsi per un personaggio di levatura. A meno che alla fine non abbia prevalso la filosofica conclusione: ma chi me lo fa fare?