ASSOCIAZIONI CULTURALI EDEN & BAMBU’: «Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria ha ribadito i principi di carattere generale già vigenti in materia, stabilendo che il diritto dell’Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali avvenga all’esito di una procedura di evidenza pubblica»

QUANTO SEGUE E’ IL TESTO DELL’ISTANZA DEI RAPPRESENTANTI DI “EDEN” & «BAMBU’» – già titolari di 2 dei quattro «laghetti del Barco» dichiarati “fuori legge” dal tribunale di Tivoli –, indirizzata al Comune di Tivoli, “in via di autotutela ai fini dell’annullamento e/o revoca degli atti amministrativi, presupposti e conseguenti, relativi alla proroga della subconcessione a favore della Acque Albule S.p.A.”

Spettabile Comune,
con la presente, i rappresentanti delle scriventi associazioni significano quanto segue.
Come a Voi noto, le scriventi hanno in corso un contenzioso giudiziario con la Acque Albule S.p.A. avente per oggetto la presunta lesione di diritti di cui la Acque Albule S.p.A. assume di essere titolare.
Da quanto asserito dalla Acque Albule S.p.A., i suoi diritti sarebbero fondati su plurimi contratti con i quali, a partire dal 30.10.1929, successivamente prorogati, il Comune di Tivoli avrebbe concesso, a favore della Acque Albule S.p.A. lo sfruttamento delle risorse idrotermali.
Orbene, indipendentemente dai molteplici profili di contestazione già sollevati in corso di causa e che ci si riserva di sollevare in ordine a tale subconcessione, con la nota recente sentenza pubblicata il 9.11.2021, il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria ha ribadito i principi di carattere generale già vigenti in materia, stabilendo in primo luogo, che il diritto dell’Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali avvenga all’esito di una procedura di evidenza pubblica.

Frits Bolkestein

Sempre tale pronuncia, dalla espressa funzione monofilattica, ha autorevolmente confermato che l’art. 12 della direttiva 2006/123 (c.d. Direttiva Bolkestein), nella misura in cui pretende una procedura di gara trasparente ed imparziale per il rilascio di autorizzazioni in caso di scarsità delle risorse naturali è norma volta a disciplinare il mercato interno in termini generali, applicandosi quindi a tutti i settori.
Pertanto, la legge nazionale in contrasto con una norma europea dotata di efficacia diretta, non può essere applicata né dal giudice, né dalla pubblica amministrazione, né rilevano, in senso contrario, le eventuali esigenze correlate alla tutela dell’affidamento degli attuali concessionari.
Inoltre, la sopravvenienza normativa (cui è equiparabile la sentenza interpretativa della Corte di giustizia c.d. Promoimpresa del 14.7.2016 che si è occupata, tra l’altro, specificamente della portata applicativa della Direttiva Bolkestein) incide su tutte le situazioni giuridiche durevoli.

L’incompatibilità comunitaria della legge nazionale (a maggior ragione di quella Regionale e dei relativi atti amministrativi, come in questo caso) che ha disposto la proroga automatica delle concessioni demaniali produce effetto anche nei casi in cui siano stati adottati formali atti di proroga e, addirittura, anche nei casi in cui sia intervenuto un giudicato favorevole.

Ne consegue l’illegittimità degli atti amministrativi adottati in violazione dei principi in materia di libera concorrenza espressa dalla Corte di Giustizia e dalla Direttiva Bolkestein e ribaditi dalla richiamata pronuncia del Consiglio di Stato.
A tale proposito, si ribadisce che il Consiglio di Stato ha espressamente affermato che a nulla rileva, in senso contrario, che i rapporti concessori siano diventati definitivi o addirittura oggetto di eventuali giudicati.

Si precisa che la portata della citata sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato esclude radicalmente qualsiasi deroga od eccezione; pertanto deve considerarsi priva di qualsiasi rilevanza e tamquam non esset, qualsiasi normativa in senso contrario, ivi compresa la Legge n. 205 del 27.12.2017 e/o il decreto legislativo 26.3.2010 n. 59 con il quale è stata attuata la direttiva 2006/123/CE (al cui artt. 1 è stata prevista una interpretazione — contraria ai principi comunitari – secondo cui le disposizioni del medesimo decreto legislativo non si applicherebbero al rilascio o al rinnovo delle concessioni per l’utilizzazione delle acque minerali e termali destinate all’esercizio dell’azienda termale in possesso delle autorizzazioni sanitarie di cui all’art. 3, comma 1, della legge 24 Ottobre 2000 n. 323, qualora il fatturato della “stessa azienda, riferibile alle prestazioni termali e alle piscine termali, ove esistenti e come individuate dalla disciplina interregionale in materia, sia stato prevalente, nei due anni precedenti l’istanza di rilascio o di rinnovo, rispetto a quello delle attività di.cui all’articolo 3, comma 2, della medesima legge).

L’Eden Village; sotto, il «Bambù»

Difatti, la.disposizione di cui al citato comma 1094, art. 1 della L. n. 205/2017 non sottrae le procedure amministrative agli obblighi di applicazione dei principi fondamentali del diritto comunitario in materia di concorrenza e non discriminazione, oltre che di quelli di trasparenza ed imparzialità. La giurisprudenza costituzionale (sent.. n. 117/2015) ha sottolineato che l’attività di sfruttamento oggetto di concessione termominerale ricade nel campo applicativo della direttiva UE, 12 dicembre 2006, n. 123, recepita dal decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59. Interessate dall’applicazione delle norme appena citate sono «qualunque attività economica, di carattere jmprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione, diretta allo scambio di beni o alla fornitura di altra prestazione (art. 1, comma 1, del D. Lgs. n. 59/2010), salve le eccezioni», tra le quali la Corte ritiene che non si debba considerare lo sfruttamento delle acque termali.

La giurisprudenza, in forza dell’art. 3 del R.d. 2440 del 1923, nonché dei principi comunitari di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento, è unanime nel ritenere che l’affidamento in concessione ovvero in subconcessione (art. 20 L.R. n. 44/1975), deve essere preceduto da apposita procedura ad evidenza pubblica.

La citata sentenza del Consiglio di Stato ha confermato che la direttiva Bolkestein non prevede eccezioni e, pertanto, tale normativa si pone in contrasto con tale direttiva, da applicarsi in tutti i settori, nessuno: escluso, con conseguente illegittimità di qualsiasi normativa nazionale in senso contrario.

Da ultimo, si evidenzia che in ogni caso, la subconcessione a favore della Acque Albule S.p.A. non rientrerebbe nell’ambito di applicazione di tale normativa nazionale, da una parte, perché l’acqua utilizzata dalla Acque Albule S.p.A. non ha natura termale dal 1984. come da decreto di declassamento della Regione Lazio; dall’altra, non risultando, in ogni caso, la prevalenza del fatturato riferibile a prestazioni termali, come richiesto da tale normativa, pur illegittima, per le ragioni sopra illustrate.

Pertanto, dovranno essere annullati e/o revocati dalla Vs. Amministrazione, anche in via di autotutela, tutti gli atti normativi, amministrativi e regolamentari successivi all’atto del 15.1.2001 — rep, 18043 con il quale il Comune di Tivoli, titolare della concessione mineraria di acque termali denominata Acque Albule, ha rinnovato la subconcessione in favore di Acque Albule S.p.A. per la durata di venti anni, come previsto dall’art. 1 della legge 3 Aprile 1961, n. 283, con decorrenza dall’1.1.2001 al 31.12.2020, ed in particolare l’ulteriore rinnovo, autorizzato con delibera di Giunta comunale n. 157 del 27 Luglio 2018 fino alla scadenza del 24.2.2031 e comunque di tutti gli atti presupposti e conseguenti con i quali, a qualsiasi titolo ed in qualsiasi forma, è stata prorogata la subconcessione per l’utilizzo delle acque albule in favore della omonima S.p.A., stante l’entrata in vigore della direttiva europea 2996/123/Ce, attuata in Italia con decreto legislativo 26.3.2010 n. 59, per la tutela della libera concorrenza nei servizi, in quanto assolutamente incompatibile con l’esclusiva monopolistica dell’utilizzazione delle acque minerali concessa al Comune di Tivoli e da questo alla S.p.A. Acque Albule, per evidente contrasto con i principi eurounitari in materia.

Si invita, quindi, il Vs. Comune ad adottare, anche in via di autotutela, gli atti amministrativi finalizzati alla applicazione di quanto ribadito dalla citata sentenza della Corte di Giustizia Europea e del Consiglio di Stato, salvo ed impregiudicato ogni nostro diritto ed azione presso tutte le sedi competenti.

Con osservanza,                                                                           Associazioni Culturali Eden & Bambù

Nelle concessioni demaniali la “Direttiva Bolkestein” produce effetto anche nei casi in cui siano stati adottati formali atti di proroga e, addirittura, anche nei casi in cui sia intervenuto un giudicato favorevole

PROSEGUE SENZA SOSTA in varie sedi giudiziarie ed amministrative il contenzioso tra i gestori (o meglio ex gestori) dei «laghetti del Barco» e la spa Acque Albule.
Il contenzioso concerne in via principale la pretesa della spa Acque Albule (accolta da sentenza del Tribunale di Tivoli nei confronti della quale tuttora pende giudizio di appello) di vietare la balneazione negli invasi naturali di acque sulfuree esistenti in località Barco, avvalendosi della subconcessione in monopolio rinnovatale nel 2018 dal Comune di Tivoli.
Tale rinnovo – in conformità alla normativa europea e nazionale a tutela della libera concorrenza, che vieta le concessioni in monopolio per lo sfruttamento delle acque termali (e tanto più per le acque non termali), ove l’azienda concessionaria non provi un fatturato prevalente per prestazioni termali – era stato benevolmente concesso dal Comune di Tivoli alla S.p.A. Acque Albule sulla base della ritenuta sussistenza di tale presupposto ed, in particolare, a fronte della certificazione del suo Collegio Sindacale della prevalenza del fatturato per prestazioni termali per i due anni precedenti.
Ma in tale certificazione veniva indebitamente inserito, in misura prevalente, nel fatturato per prestazioni termali, anche quello relativo alle piscine, pur essendo stata declassata fin dal 1984 ad acqua di balneazione o ad “altra acqua” quella che le alimenta.
In conclusione, con tale espediente è stato eluso il divieto di sfruttamento monopolistico delle acque termali e non imposto dalla normativa europea e nazionale ed in conseguenza di tale subconcessione in monopolio il Tribunale di Tivoli ha imposto ai gestori dei laghetti del Barco il divieto di balneazione.
La circostanza era ed è ben nota agli amministratori della predetta società (che peraltro hanno rilasciato interviste, esplicitamente ammettendo che i controlli sanitari per le piscine i controlli sono eseguiti sulla base della normativa per le acque comuni di balneazione) ed ancor più al Comune di Tivoli, che nel 1984 era (ed ora è tornato ad esserlo) azionista unico della S.p.A. Acque Albule.
Il bello è che, pur in presenza di esplicite denunce, reiteratamente pubblicate sulla stampa locale, il Comune di Tivoli, in persona degli stessi amministratori che nel 2018 hanno concesso il rinnovo della subconcessione ad Acque Albule S.p.A. ha osservato una atarassica immobilità.
Conseguentemente, alcuni gestori dei laghetti, hanno ritenuto doveroso informare ufficialmente della vicenda l’ANAC e di presentare formale denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli, che recentemente ha formulato richiesta di marchiviazione, avverso la quale è stata proposta opposizione al GIP dello stesso Tribunale, che ha fissato la decisione a settembre del corrente anno.
Nel frattempo é stata presentata al Comune di Tivoli, formale istanza di annullamento in autotutela per «l’annullamento e / o revoca degli atti amministrativi, presupposti e conseguenti, relativi alla proroga della subconcessione a favore della Acque Albule S.p.A».
In tale istanza si legge «…la subconcessione a favore di Acque Albule S.p.A. non rientrerebbe nell’ambito di applicazione di tale normativa nazionale, da una parte, perché l’acqua utilizzata dalla Acque Albule S.p.A. non ha natura termale dal 1984, come da decreto di declassamento della Regione Lazio; dall’altra, non risultando, in ogni caso, la prevalenza del fatturato riferibile a prestazioni termali, come richiesto da tale normativa, pur illegittima, per le ragioni sopra illustrate. Infatti, il declassamento in acque comuni di balneazione delle acque che alimentano le piscine di Acque Albule S.p.A., conseguente a provvedimento dell’Assessore alla Sanità della Regione Lazio del 1984, è ben noto a questa amministrazione, così come è noto che detta società, per ottenere nel 2018 la proroga della subconcessione, ha allegato alla relativa domanda attestazione della prevalenza del fatturato per prestazioni termali nei due anni precedenti, nel quale è stato indebitamente inserito anche quello derivante dalle piscine non più termali”.
A fronte di tali esplicite contestazioni, considerati la rilevanza pubblica della vicenda ed i non irrilevanti interessi economici in gioco, sarebbe gradita da un’amministrazione sedicente “democratica e al servizio dei cittadini” almeno un minimo di chiarimenti. Allo stato, tutto tace.
E’ bene sottolineare che, ove il Comune di Tivoli in via di autotutela revocasse la subconcessione alla S.p.A. Acque Albule, verrebbe automaticamente a cadere l’efficacia esecutiva della sentenza del Tribunale che ha imposto ai gestori dei «laghetti del Barco» il divieto di balneazione, sul presupposto della legittimità della predetta subconcessione in monopolio.
Anche il procedimento relativo all’esecuzione del divieto di balneazione imposto ai predetti gestori dei «laghetti del Barco», dopo due anni, procede, con continui rinvii dinanzi al Giudice Dott.ssa Patrizi del Tribunale di Tivoli, alla quale la difesa della Acque Albule S.p.A. ha chiesto di riempire gli invasi con pietrame di risulta, o di impedire l’accesso agli stessi con proprio personale di sorveglianza o con idonea copertura. Non sono state suggerite, allo stato, altre fantasiose soluzioni, del tipo fustigazione dei bagnanti, minamento degli accessi, reticolati in filo spinato elettrificato ecc.
Il problema, tuttora non risolto, è che i predetti gestori hanno rilasciato da tempo i terreni sui quali insistono le polle e quindi non svolgendovi più alcuna attività, tanto meno possono svolgervi attività di balneazione.
Si vedrà in seguito come andrà a finire e le sorprese certamente non mancheranno.