23 MAGGIO 1992, strage di Capaci, muoiono Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta
19 LUGLIO 1992, strage di via d’Amelio, muoiono Paolo Borsellino e gli agenti della scorta

Ricordo_borsellino_d0

IL 23 MAGGIO ricorreva ‘la giornata della memoria’, dedicata alla strage di Capaci che causò la morte di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti della scorta.
IL 19 LUGLIO, appena due mesi dopo, la strage di via d’Amelio. A seguito della quale muoiono Paolo Borsellino e gli uomini chiamati a proteggerlo.
In tutt’Italia, in particolare in Sicilia, non sono mancati né mancano in questo momento appuntamenti per ricordare i due magistrati e per rinnovare l’impegno nella lotta alla mafia e alla criminalità organizzata.
Meno che a Guidonia Montecelio. Meno che nel luogo dove Paolo Borsellino svolse l’ultima sua indagine. Avente per oggetto l’omicidio di Rosario Livatino, che Francesco Cossiga, il presidente della Repubblica autodefinitosi «piccolo amministratore» di Gladio, appellò come il «giudice ragazzino». Il senso e il significato ciascuno può interpretare in proprio.
A rimettere le cose in ordine ha provveduto Francesco Bergoglio, innalzando Rosario Livatino alla gloria degli altari, a insignirlo del titolo di «patrono» delle vittime di mafia.

di TOMMASO VERGA
GUIDONIA MONTECELIO, un luogo, una località del nostro Paese dove la Mafia (con la maiuscola) non ha  lesinato la propria presenza. Certamente non in solitario splendore. Una città nella quale albergano molti silenzi (e alberghi) che al contrario potrebbero aiutare a conoscere storie, relazioni tra fatti (ancora) da approfondire, studiare comportamenti. Invece a regnare è il principio dell’omertà, della reciproca funzione omissiva tra boss e manovali, la politica come funzione prescelta per realizzare personali e/o collettivi scopi.
Come si vedrà, le cronache di Guidonia Montecelio hanno visto mafia e mafiosi convivere in una indifferente “società legale”, occupando funzioni, direzioni della pubblica amministrazione, vertici della politica. Senza respingimenti né alcun disturbo, nemmeno da parte delle forze cosiddette antimafia.

Una «robusta» presenza a Guidonia Montecelio contrassegnata dal «soggiorno obbligato» per mafia. L’inchiesta di Paolo Borsellino sul «capo del mandamento di Canicattì»

SI PRENDA L’INDAGINE di Paolo Borsellino sul delitto di Rosario Livatino che condusse il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli a Guidonia Montecelio. Motivo, l’interrogatorio di Giuseppe Caramanna – raggiunto da un avviso di garanzia a firma appunto Paolo Borsellino, per il sospetto di essere a «capo del mandamento di Canicattì» –, e del fratello Roberto. In quanto frate, quest’ultimo abitava nella chiesetta appena fuori Villanova, la borgata di Guidonia, mentre l’altro viveva nella villa sulla collina dopo il ponte della ferrovia (oggi sede della «Piccola Pietra», l’associazione fondata da monsignor Giovanni D’Ercole).

Il barone Agostino LaLomia

L’interrogatorio da parte del maggiore Giuliano Guazzelli a Giuseppe Caramanna e al fratello Roberto, avviene il 2 aprile 1992. Il maresciallo riparte e finisce morto ammazzato a Menfi dove risiedeva, il 4 aprile 1992.
Ad assassinarlo, Salvatore Fragapane, Joseph Focoso, Simone Capizzi, Salvatore Castronovo, Giuseppe Fanara e Gerlandino Messina. Sei tossici implicati anche nei preparativi dell’omicidio di Rosario Livatino e Antonino Saetta, i due giudici nati a Canicattì anch’essi.
Giuseppe Caramanna era il «fattore» delle estesissime proprietà del barone La Lomia, residente a Canicattì, padre della baronessa Pyni, prima moglie del giudice Giuseppe Ayala. Il procedimento giudiziario  non ha interessato il barone né la famiglia, diversamente da tutti i siciliani inviati a Guidonia Montecelio al “soggiorno obbligato” per mafia (provvedimento esteso in quantità minore anche a Mentana e a Monterotondo), tanto da contrassegnare quella località con l’appellativo “dei Siciliani”.
Uno degli interrogativi rimasti inevasi riguarda proprio l’appezzamento, ovvero conoscere quando tanto terreno, oltretutto rigogliosamente agricolo, passò tra le proprietà del barone La Lomia, come avvenne la transazione da parte di chi, il costo e connessi, in un periodo di tempo in cui internet funzionava grazie alle virtù dei piccioni viaggiatori.

Non bastasse, Guidonia Montecelio partecipa al golpe del «principe nero» Junio Valerio Borghese, e, con Frank Coppola “tre dita”, alla tentata infiltrazione della mafia nella Regione Lazio

PRIMA UNA DOMANDA: perché ricordare? Per sensibilizzare le generazioni più giovani, educarle alla legalità. E per riflettere sugli errori. Quando di errori si tratti. Più spesso utili a nascondere altro.
Il riepilogo di moltissimi accadimenti si incontra su moltissime pagine del mio blog. Volendo, si scoveranno con facilità le relazioni tra i mafiosi residenti e attivi in questa città e addirittura Junio Valerio Borghese, il principe fascista del tentato golpe del 7-8 dicembre 1970. Del quale era armiere Natale Rimi, un giovane mafioso immigrato da Alcamo a Guidonia Montecelio, grazie all’assunzione nella Regione Lazio dovuta a Gerolamo Mechelli, presidente democristiano della Pisana.

Natale Rimi

Al quale l’impiegato, fratello di due mafiosi condannati all’ergastolo, denunciato a sua volta per la scomparsa del giornalista dell’Ora di Palermo, Mauro De Mauro, è presentato da Italo Jalongo, uomo di fiducia di Frank Coppola. Mentre Severino Santiapichi (processo Moro) fa da tramite tra Jalongo e Mechelli. Altro aspetto costituente una decisa singolarità, è offerto dal fatto che Natale Rimi è il primo impiegato destinato al Coreco, il Comitato regionale di controllo. Che però non esiste, si deve ancora costituire. Il politico competente in materia è l’assessore regionale agli Enti locali Antonio Muratore.
Il quale, interrogato dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta dal democristiano Francesco Cattanei, dichiara di non conoscere Natale Rimi, seppure abitanti entrambi a Guidonia Montecelio.
Per la parte relativa a Guidonia Montecelio, l’indagine si conclude con il proscioglimento del socialista Antonio Muratore, assessore regionale all’Agricoltura, consigliere provinciale e regionale, ex sindaco della città, sottosegretario al Turismo e spettacolo del VII governo Andreotti, dal 17 aprile 1991 al 27 giugno 1992, con ministro Franco Carraro.

15 maggio 1974, Luciano Liggio, proveniente da Guidonia Montecelio, viene arrestato a Milano

Luciano Liggio, camuffato da suora, fugge da Villa Margherita, a Roma, e approda nell’ex autofficina riconvertita in clinica all’incrocio di piazza della stazione con via Roma a Guidonia

Il 19 novembre del 1969, il boss Luciano Liggio (o Leggio), camuffato da suora, fugge dalla clinica “Villa Margherita” a Roma. Il Tribunale di Palermo non può quindi notificargli un atto di custodia in carcere. Se ne perdono le tracce. Le indagini sulla fuga accertano che dalla clinica ha raggiunto Guidonia Montecelio dove è atteso. Qui viene ricoverato in un complesso formato da due locali corrispondenti, trasformati rapidamente in clinica mediante la riconversione dell’autofficina all’incrocio di via Roma con la piazza della stazione. Un gran lavorio come si può notare, nonostante la lettiga del boss andrà ad occupare un solo locale dell’ex autofficina.

TANTI PEZZI di storia della città. Che vanno perdendosi per motivi d’età insieme alla memoria individuale. Sarebbe opportuna una iniziativa del Comune, dello stesso sindaco Mauro Lombardo, perché tornino in evidenza episodi, storie, modalità. Obiettivo una banca-dati. Contenente la documentazione nota (anche orale per quanto ancora possibile) e quella sconosciuta. Un impegno indirizzato alle scuole prima di tutto, perché gli studenti conoscano la loro città. © RIPRODUZIONE RISERVATA