di TOMMASO VERGA
PIU’ DI 40 I RINVII A GIUDIZIO tra gli appartenenti alle due cosche Carzo-Alvaro, unite negli affari nella Capitale, affari non andati in porto grazie all’«operazione propaggine», portata a compimento dalla DDA capitolina. Dichiaratamente, obiettivo finale delle due famiglie, il monopolio del mercato del pesce non solo all’interno del Paese.
Si vedrà al momento del dibattimento in aula, a partire dal 12 settembre, se c’è/c’è stata attinenza tra l’«operazione propaggine», l’«operazione Tritone» (Anzio-Nettuno) e l’«operazione Eureka», portata a buon fine in questi giorni contro le cosche Nirta-Strangio di San Luca (Reggio Calabria) e Morabito.
Oltreché in Italia, «Eureka» ha prodotto sequestri e arresti compresi quelli in Belgio e Germania. L’indagine ha portato all’emissione di 108 misure cautelari con accuse che vanno dall’associazione mafiosa al concorso esterno, dall’associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti alla produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, dalla detenzione e traffico di armi anche da guerra al riciclaggio.
Quanto alla droga, va detto che con l’«operazione propaggine», si è appreso che i pesci di dimensioni maggiore erano tra i preferiti dagli ‘ndranghetisti. Da sottolineare che i Carzo-Alvaro potevano usufruire di un “regolare” punto d’appoggio all’interno del CAR, il “box 32». Il che rappresenta l’altro aspetto da approfondire: come poteva una «locale» della ‘ndrangheta trovare il modo di vedersi assegnato un punto-vendita nella principale azienda di distribuzione di ortofrutta e pesce della Capitale? (e non solo).
Nell’inchiesta, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò con i pm Giovanni Musarò, Francesco Minisci e Stefano Luciani, vengono contestate, a vario titolo, le accuse di associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la ‘Ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo gli inquirenti, l’organizzazione “locale” operava a Roma dal 2015 avendo ottenuto l’investitura ufficiale dalla casa madre in Calabria. «Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto», dicevano in un’intercettazione gli indagati. E nelle conversazioni riportate nell’ordinanza del gip alcuni degli indagati facevano riferimento proprio al lavoro di alcuni magistrati e poliziotti che avevano lavorato prima in Calabria e poi a Roma: ”c’è  una Procura… qua a Roma … era tutta …la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino”…”e questi erano quelli che combattevano dentro i paesi nostri …Cosoleto … Sinopoli… tutta  la famiglia nostra… maledetti”. Il processo assegnato all’ottava sezione penale del Tribunale di Roma. © RIPRODUZIONE RISERVATA – scrivere? info@hinterlandweb.it