di TOMMASO VERGA
AUTORIZZAZIONE SCADUTA (MA L’ATTIVITA’ PROSEGUE). Vietare l’ingresso nella cava agli addetti al controllo delle modalità fissate dalle leggi: così viene impedita la constatazione che la «buca» ha raggiunto poco meno dei 100 metri di profondità contro la trentina fissata dalla Regione;. I confini della cava si mischiano con quelli di una discarica di rifiuti (delicato omaggio al ritombamento). La fantasia può provare a sbizzarrirsi per decine di altri risultati effetto della creatività.
Come si vede – stando a quanto accennato – non è richiesta una laurea per definire la classifica delle violazioni. Sufficiente l’inosservanza della legge regionale su cave e torbiere. La numero 17 del 2004. Seppure in agonia da anni. Ma ora si deve stare tranquilli, Marco Bertucci – un FdI che si occupa di travertino da quando a Guidonia Montecelio governava Eligio Rubeis – ha annunciato che la legge regionale verrà rinnovata. Sentito dire, ripetutamente, year after yeara prescindere dalla casacca degli annunciatori. Si vedrà.
Intanto, anche per riflettere sulle eventuali modifiche future, qualora le aziende non versassero il contributo ambientale potrebbe la Regione compiere quanto necessita per poi riversare il recuperato ai Comuni? (risposta: sì-no); ritombamento: terre e rocce da scavo in sostituzione del materiale di cava verrebbero sottoposte preventivamente a VIA? (Valutazione di impatto ambientale) (risposta: sì-no); il ricorso alle polizze fideiussorie potrebbe essere sostituito da garanzie bancarie? (risposta: sì-no).
Poi, per capire il momento (tempi lunghi come si può notare), rende l’idea il contenuto del ricorso del 2016 al TAR del Lazio delle 7 aziende del travertino di Guidonia Montecelio. Eccole. In rigoroso ordine alfabetico, onde evitare che si immagini una sorta di mini-sfilata guidata dalle direttive del o della capobranco: Btr srl, C.M. Caucci Mario Itr spa, Cimep srl, F.lli Pacifici Ing. Cesare & Lorenzo spa, Francesco Coresi & figli srl, G. Poggi srl, Querciolaie Rinascente società cooperativa, Travertino Romano spa, Travertino Conversi srl. Ad assisterle gli avvocati Franco Coccoli e Mario Sanino.
Apre il ricorso una sfilata di addebiti a carico dell’amministrazione comunale. Colpevole, a dire dei 7 padroni delle cave, di “eccesso di potere”, illogicità, irragionevolezza, ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria, contraddittorietà, carenza di motivazione, confusione e perplessità, incompetenza.
«Pietra dello scandalo» (è travertino: cos’altro sennò?), la determinazione dirigenziale numero 2 del 16 gennaio 2013, avente per oggetto l’«Articolazione delle sanzioni pecuniarie di cui alla legge regionale 7/2004 in materia di illeciti riguardanti attività estrattive» (atto che non risulta sia stato revocato; semmai si chiede se il contenuto venga tuttora applicato ndr).
In sostanza, unitamente alla potestà di verificare le modalità di scavo, il Comune “scopre” di essere «incaricato altresi, ai sensi dell’art. 182 della Legge Regionale n. 14/99, per l’accertamento e contestazione delle violazioni e dell’applicazione delle relative sanzioni». Che si «applicano secondo le procedure previste dalla legge regionale 5 luglio 1994, n. 30 (Disciplina delle sanzioni amministrative di competenza regionale) e dagli articoli 182 e 208 della lr, 14/1999 e successive modifiche».
Non bastasse, la determinazione sottolinea che «la Legge Regionale n. 17/2004, all’art. 28 prevede “sanzioni pecuniarie” ove ricorrano determinate condizioni di legge». Secondo le quali la portata dev’essere stabilita all’interno di importi minimi e massimi differenziati tra loro secondo le caratteristiche del blocco estratto.
Quindi, relativamente al calcolo delle sanzioni, la determinazione rimanda a quanto «prescritto per legge, in base alle quantità ed al valore del materiale estratto e sulla base di tale valore».
Esempio: «sanzione da E 10.000,00 a 100.000,00 per attività di ricerca (di materiali di cava e torbiera) senza autorizzazione o per chi le prosegua dopo la sospensione dell’attività o dopo la revoca o la scadenza dell’autorizzazione».
Contenuti della determinazione altro non fanno che riportare norme delle leggi in vigore. Per dire che la dirigente – Gianna Recchia – non ha improvvisato nulla. Semmai ha applicato direttive abbondantemente «mature» che a Guidonia Montecelio non avevano trovato cittadinanza. Chissà perché.
La contestazione cui si è fatto cenno, come detto sottoscritta da 7 aziende, si poneva l’obiettivo dell’«annullamento della “determinazione dirigenziale del Comune di Guidonia del 16 gennaio 2013”».
Relativamente alla procedura, nel ruolo di «accusati», la Regione Lazio (che comunque non s’è costituita in giudizio) e, assistita dall’avvocata Antonella Auciello, la Città di Guidonia Montecelio, nella persona di Eligio Rubeis, sindaco dell’epoca, uno che se si fosse trovato a Palazzo qualche anno dopo, nell’estate del 2018 per dire, la chiusura definitiva delle cave l’avrebbe realizzata davvero. Magari applicando la determinazione del 10 agosto 2018 di Flaminia Tosini, la dirigente della Regione Lazio, pubblicata sul numero 84 del Burl (il Bollettino ufficiale della Regione Lazio), del 16 ottobre dello stesso anno.
Una determinazione, quella del Comune di Guidonia Montecelio, gravemente viziata – secondo i padroni delle cave –, stante l’incompetenza dell’Amministrazione comunale nel “determinare” le sanzioni e, comunque, all’interno dell’Amministrazione comunale, stante l’incompetenza del dirigente.
Attributi-accuse decisamente contestati dall’ente. Infatti, l’avvocata Auciello ha duramente contrastato le contestazioni, le quali, ha detto, «sono generiche in quanto si limitano a criticare la congruità delle valutazioni dell’amministrazione solo perché formulate in via preventiva e non a seguito di accertamenti da espletarsi caso per caso; ma non adducono argomenti specifici né tanto meno prove idonee riferibili a tale incongruità nonostante i ricorrenti siano operatori del settore, e, quindi, astrattamente in grado di articolare, sul punto, almeno deduzioni specifiche».

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«ECCESSO DI POTERE»; «COMPETENTE IL CONSIGLIO». Secondo il ricorso al TAR «le disposizioni in esame attribuirebbero ai Comuni il solo potere di applicare le sanzioni previste dalla normativa regionale in materia di cave e torbiere e non anche quello di regolamentare e di introdurre criteri di applicazione diversi da quelli previsti dalla normativa vigente. In particolare, il Comune di Guidonia avrebbe derogato alla norma regionale secondo la quale la sanzione deve essere parametrata alla quantità e al valore del materiale estratto accertati volta per volta, ed avrebbe, inoltre, arbitrariamente individuato nel 20% la percentuale dell’utile sulla base del quale quantificare la sanzione e, così facendo, avrebbe derogato ai criteri applicativi delle sanzioni pecuniarie previsti dall’art. 11 l. n. 689/81. In ogni caso, la competenza ad adottare l’atto in questione, non avente mera natura gestionale, sarebbe del Consiglio comunale e non del dirigente».
IL TAR: «MOTIVI INFONDATI». «Da quanto fin qui evidenziato emerge l’insussistenza del vizio d’incompetenza, prospettato con la prima censura, in quanto con la determina dirigenziale il Comune si è limitato ad individuare modalità pratiche di applicazione dei criteri della “quantità e del valore del materiale estratto” sulla base dei quali l’art. 28 comma 3 l.r. n. 17/04 stabilisce che debba essere, in concreto, quantificata la sanzione tra il minimo ed il massimo edittale ivi previsti. Pertanto, la determina dirigenziale non ha introdotto alcun nuovo criterio di applicazione delle sanzioni diverso da quello legislativamente previsto ma, anzi, ha inteso dare pratica applicazione proprio al criterio, a tal fine, indicato dall’art. 28 comma 3 l.r. n. 17/04».© RIPRODUZIONE RISERVATA – info@hinterlandweb</span>[/caption]