Celebrata l’ennesima ‘giornata della dimenticanza’

di TOMMASO VERGA

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Ieri, 23 maggio, ricorreva ‘la giornata della memoria’, il giorno dedicato alla strage di Capaci del 23 maggio del ’92, alla morte di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, degli agenti della scorta.
Una strage che precede di appena due mesi quella in via d’Amelio, in cui muoiono Paolo Borsellino e gli uomini chiamati a proteggerlo. In tutt’Italia, in particolare in Sicilia, non sono mancati appuntamenti per ricordare i due magistrati e per rinnovare l’impegno nella lotta alla mafia e alla criminalità organizzata.
Meno che qui. Un luogo, una località del nostro Paese che ha molte ragioni per approfondire fatti, narrare storie, studiare comportamenti. Ragioni proprie, dirette, fatti e cronache che hanno visto mafia e mafiosi convivere con la società ‘legale’, senza disturbo. Lo scopo di ricordare? Quantomeno per sensibilizzare le generazioni più giovani, per educarle alla legalità. E per riflettere sui propri errori. Se di errori si tratta.
Un breve riepilogo di accadimenti noti.
Il 19 novembre del 1969, il boss Luciano Liggio (o Leggio) fugge dalla clinica ‘Villa Margherita’ a Roma, dove è ricoverato. Il Tribunale di Palermo non può così notificargli un atto di custodia in carcere. Se ne perdono le tracce. Le indagini sulla fuga accertano che dalla clinica ha raggiunto Guidonia Montecelio dove era atteso.
Risale al 1971 l’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nell’ente Regione Lazio, con protagonista principale Frank Coppola ‘tre dita’. A luglio di quell’anno, la commissione antimafia scopre che Natale Rimi, impiegato presso il Comune di Alcamo, fratello di due mafiosi condannati all’ergastolo, denunciato a sua volta per la scomparsa del giornalista dell’Ora di Palermo, Mauro De Mauro, è stato trasferito alla Pisana. La proposta di assunzione è del presidente dc Gerolamo Mechelli, al quale l’impiegato è presentato da Italo Jalongo, uomo di fiducia di Frank Coppola. Severino Santiapichi (processo Moro) fa da tramite tra Jalongo e Mechelli. Per la parte che ci interessa, l’indagine si conclude con il proscioglimento di Antonio Muratore, assessore regionale all’Agricoltura, ex sindaco di Guidonia Montecelio (tutti gli atti, disponibili in: http://archiviopiolatorre.camera.it/img-repo/DOCUMENTAZIONE/Antimafia/04_rel_02.pdf.).

Antefatti antichi, che, forse proprio per questo, consigliarono Paolo Borsellino di approfondire. Fu la sua ultima indagine.
Proprio qualche giorno prima della strage di via d’Amelio, a Manheim, Germania, il giudice raccoglie le confessioni di Antonio Schembri, un trentacinquenne nativo di Palma di Montechiaro, detenuto a seguito di un’operazione antimafia condotta dalla Bka tedesca insieme con i nostri carabinieri. L’uomo svela a Borsellino esecutori e mandanti dell’omicidio di Rosario Livatino. Unitamente al racconto delle modalità dell’agguato con i nomi dei cinque partecipanti, il riscontro viene da Haiko Kshinna e da altri due pentiti.
Di conseguenza viene aperto un fascicolo intestato a un uomo che vive a Guidonia, nella zona cosiddetta ‘dei siciliani’. A costui – deceduto da qualche mese – viene recapitato un avviso di garanzia con l’imputazione di essere a capo del ‘mandamento di Canicattì’ dopo l’eclissi del boss Antonino Ferro, conseguenza delle iniziative giudiziarie.

Il maresciallo Guazzelli ucciso dalla mafia

Le accuse riguardano sia l’omicidio del ‘giudice ragazzino’, 21 settembre del ’90, che quello del maresciallo Giuliano Guazzelli, 5 aprile del ’92, trucidato a colpi di kalashnikov due giorni dopo l’interrogatorio del siciliano residente a Guidonia, sul viadotto di Villasela, la superstrada che da Agrigento conduce a Menfi, dove abitava.
C’è una morale da trarre. Compresa l’ultima indagine di Borsellino, tutto era stato già stato scritto, era conosciuto. La ‘giornata della memoria’? Si svolga pure. Ma fuori dalle conventicole cittadine. Per fatti che riguardano l’ambito locale o cittadino meglio dimenticare. Anzi, rimuovere.