Il "tintinnar di manette"

“Tintinnano le manette”

(t. ve.) Aumenta la tassa sull’immondizia fino al 35 per cento, abolita una serie di servizi con una pesante accettata su tutte le voci della spesa sociale, aggravi consistenti sui redditi delle famiglie: così il centrodestra di Guidonia Montecelio il 31 agosto ha approvato il bilancio di previsione. Si è sentita la solita tiritera sulle politiche del governo a proposito degli enti locali (non ingiustificata), ma nessuna autocritica su come in precedenza è stato svuotato il caveau a favore di questo e di quello. Parenti stretti e di partito. Conclusione: la partita è tutta aperta, chi si occupa delle cose del Comune dovrà tornarci su inevitabilmente. Perché l’impressione è che i conti di Guidonia siano arrivati al capolinea, con una maggioranza che ha tagliato su tutte le voci sperando che un bilancio “lacrime e sangue” possa evitare il default (en passant: sarebbe istruttivo rileggersi quanto disse, in termini autoelogiativi prossimi al trionfalismo, Adriano Mazza, assessore ora come allora, in occasione della sessione di bilancio precedente).

Per quanto importante, però non è questo tema ad aver lasciato traccia (comunque la stampa ne ha riferito adeguatamente). Quello che ha impressionato, parlando di comportamenti strettamente politici, è il “tintinnar di manette” annunciato dal Pd: tre intervenuti – De Vincenzi, Di Silvio, Guglielmo – per dire “eccoli, stanno arrivando…”. In precedenza, in due Consigli successivi, c’erano stati già analoghi riferimenti.

L’annuncio impressiona innanzitutto perché vuole far intendere che una magistratura “da’ le dritte” ai piddini. Roba da commissione disciplinare del Csm, nemmeno immaginabile. Roba da gradassi. Una triplice sbrasonata. Oppure, nel campo delle impossibilità possibili, dato il via vai ormai consolidato da mesi nella romana Procura, s’è raccolta qualche voce dal sen fuggita. Interpretando invece – e qui si traduce da una lingua, da un pensiero, più propri, aderenti ai personaggi –, si evoca, si immagina, il ritorno della “via giudiziaria al socialismo” (un hit che non ha portato fortuna ai discendenti del Pci).

La formula evoca la roulette sulla quale puntano i dem per ottenere una qualche rivincita dopo aver perso le elezioni poco più di un anno fa: “Ma n’dannate?: troveremo il giudice che ci rimette in sella” il succo del ragionamento. Aberrante. Che precede, per contrasto, la domanda: per fare cosa? Quello che hanno fatto quando hanno governato. Solo un ultimo arrivato può pensare che lo stato dei luoghi sia dovuto alla responsabilità della destra. Perché, sinora, la soluzione dei pesantissimi problemi, da profondo sud – si prendano i dati sulla disoccupazione –, il disagio sociale, la gravità delle devastazioni ambientali, il collegamento tra partiti, loro dirigenti e sistema produttivo e degli scambi preda di fenomeni speculativi se non direttamente criminali, nel Pd e nei suoi “antenati” sono diventati argomenti del “programma” del candidato sindaco nelle campagne elettorali, esattamente come nella maggioranza di Rubeis ora: scriviamo qualcosa perché c’è l’obbligo di farlo. Tanto poi…

Inevitabilmente la critica aspra, serrata. Perché si sta parlando di un partito (ma il ragionamento vale per ogni soggetto o formazione tifosi del “tintinnar di manette”) che nella genealogia annovera esponenti che hanno avuto a che fare con questioni analoghe. Ma che non ha imparato, ed è quanto appare, pubblicamente, a sforzarsi di costruire una proposta in grado di far convergere i cittadini-elettori, e quindi sceglie la scorciatoia del “tanto peggio tanto meglio”. Affari suoi. E, purtroppo, anche degli abitanti. Ma attenzione: se è vero che la terra gira…

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