Il sostituto procuratore Giuseppe Cascini

Il sostituto procuratore Giuseppe Cascini

di TOMMASO VERGA

L’ALTRO IERI mattina, immediatamente dopo gli arresti dei nove indagati per l’indagine “Silentes”, Giuseppe Cascini era a Tivoli. Il sostituto procuratore, in quanto componente della Dda di Roma (la direzione distrettuale antimafia), sovrintende le indagini nella capitale sulla ‘ndrangheta di San Luca (e, in contemporanea, con Paolo Ielo e Luca Tescaroli, rappresenta la pubblica accusa nel processo “mafia capitale”). Oggetto del rendez-vous con Andrea Calice, il “reggente” della Procura (tuttora priva di un titolare dopo l’uscita di Luigi de Ficchy), certamente il bilancio dell’operazione ma, verosimilmente, gli ulteriori sviluppi, a cominciare dalla falla nel sistema carcerario, messa in mostra dall’inoltro dei “pizzini”. Chi gestiva il traffico? Come e tramite chi Giovanni Giorgi, la “lince dell’Aspromonte”, arrestato nel 2003 dopo 10 anni di latitanza, uno dei vertici della cosca Nirta-Romeo-Giorgi, dal carcere di Fossombrone li faceva pervenire al nipote Cosmo, 34 anni, nativo di Duisburg, capo della base di Tivoli, con su scritte le indicazioni relative all’attività malavitosa?

Sull’“operazione Silentes” dopo una lunga giornata di silenzio, si è fatta viva la politica. Il tempo necessario a riaversi dallo stupore forse. Comunque, bene. Un comunicato del sindaco di Tivoli, un altro, congiunto, dei segretari del Pd di Guidonia Montecelio e di Tivoli, una manifestazione promossa da Forza Italia tiburtina con l’intervento del senatore Claudio Fazzone, il parlamentare di Fondi che di mafia tratta quotidianamente in quanto membro della commissione parlamentare apposita. “Ma se si fosse trattato di zingari ci sarebbe stata una sollevazione popolare immediata” commenta con malizia un “addetto ai lavori”. E l’immaginazione corre ai corifei della purezza indigena, del luogo e della razza: interrogazioni, manifesti, cortei, destra-centro-sinistra accomunati dall’indignazione, i loro rappresentanti in gara per mostrare i sentimenti ribollenti di grondante offesa. Fatti noti, avvenuti nei recenti mesi. Ora niente.

Forse paura, timore, in fondo si tratta di ‘ndrangheta. “Ma dai, cosa vuoi che sia?”. Non va neanche escluso qualcuno abbia pensato che, tutto sommato, ne risulta pure il beneficio di qualche posto di lavoro (ovviamente non in nero visto il colore della merce).

Da qui il discorso serio. Puntando su un paio di capitoletti che richiedono cenni specifici. Il primo dei quali intende valutare un tratto comune presente nelle espressioni della politica. La quale converge su una sintesi: occorrono più mezzi e uomini delle forze dell’ordine. Indiscutibile. Se non fosse che la richiesta allo Stato di essere meglio e maggiormente tutelati non contiene nessuna analisi sull’abbandono del controllo del territorio da parte delle amministrazioni pubbliche e dei partiti.

Un'operazione dei carabinieri

Un’operazione dei carabinieri

Il territorio. Fino a non molti anni fa, punto di forza della politica e delle istituzioni locali. I cui rappresentanti conoscevano ogni minimo anfratto delle città, le famiglie, il contesto sociale, la relazione tra causa ed effetto. Che, discutibilità a parte, avrebbero fatto esaminare al microscopio l’ingresso di estranei nella vita cittadina. Pronti a reagire a fronte di attività contrastanti con la legge e con il vivere quotidiano (anche se va sottolineato un distinguo positivo a favore di Tivoli rispetto a Guidonia Montecelio). Tutto evaporato. Partiti e istituzioni.

Qui si colloca il motivo per cui la ‘ndrina di San Luca’ ha scelto questi luoghi. Perché Tivoli-Guidonia sono “terra di nessuno”. Ed è una fortuna che – a differenza delle storie simili risalenti alla fine degli anni ’70 – i Corpi dello Stato oggi si muovono con consapevolezza e organizzazione (meno positivo il discorso sugli organici insufficienti, i mezzi, le tecnologie, i salari). Altrimenti saremmo in guai molto seri.

Conferenza-stampa a Reggio calabria sull'"operazione Silentes"

Conferenza-stampa della Procura di Reggio Calabria sull'”operazione Silentes”

L’ambito prescelto permette di presidiare tutta la porzione a nordest della e nella capitale (i minorenni utilizzati come “pali” a San Basilio, la “lezione” impartita al giovane tossicodipendente di Fiano Romano, il “gancio” a Castelnuovo di Porto e così via). A significare l’oculatezza della strategia, la conoscenza delle zone e delle potenzialità quanto a incassi.

Senza nessuna polemica, qualche riflessione ulteriore gli autori di comunicati e iniziative dovrebbero farla. Consapevolmente rischiando la conseguenza di dover fare pulizia in casa propria, di buttare fuori, dai partiti e dalle istituzioni, coloro che non si fanno scrupolo delle tante “operazioni silentes”. Sennò, appellarsi unicamente allo Stato, diventa un (comodo) alibi.

L’altro tema del quale si fa rapidamente solo cenno nell’articolo di ieri l’altro, riguarda il fatto che, in questo momento, la capitale – e, con essa, tutta la prima cintura – è senza “rete di protezione”. Il capo dei capi è in carcere, al 416bis – attendendo che il processo confermi o meno l’accusa di mafiosità dell’organizzazione –, le attività illegali esclusa la prostituzione (saldamente in mano agli ormai non proprio nuovi venuti dall’est europeo) sono tornate “libere”, sottratte all’accordo del “facilitatore” che quattro anni fa stabilì le “aree di competenza” delle cosche e delle famiglie. Quel patto ha retto, talmente bene che dall’indomani sono improvvisamente cessati delitti e omicidi, pressoché tutti dipendenti dallo spaccio. Ora si ricomincia a contare i morti ammazzati, solida premessa della ripristinata contesa per aggiudicarsi fette di mercato. Unitamente all’insediamento delle cosche, si direbbe che la partita sia appena (ri)cominciata.