L'omicidio del giudice Vittorio Occorsio

L’omicidio del giudice Vittorio Occorsio

di TOMMASO VERGA

SERGIO CALORE e la sua uccisione. Secondo fonti bene informate le indagini sono riprese per accertare i motivi dell’assassinio e soprattutto scoprire chi ne sia stato l’autore. Un “giro di boa” ampiamente atteso nonostante le dichiarazioni ufficiali, da “cronaca nera”, rilasciate all’indomani del 6 ottobre 2010, quando Emilia Libera, la moglie – terrorista anch’essa, ma “rossa”, conosciuta nel supercarcere di Paliano –, ne scoprì il cadavere nel casolare di via Colle Spinello, a Guidonia Montecelio. Trenta colpi di piccone (tanti quanti i danari di Giuda il “traditore”) e la gola squarciata (nella simbologia mafiosa: “hai parlato troppo”). “Segni” che, seppure a distanza di quasi sette anni, i criminologi hanno interpretato inequivocabilmente e che hanno fornito l’input alla ripresa delle ricerche.

Dalla “nera” all’“attualità” quindi, possibile ennesimo auspicato tassello nella ricostruzione degli anni di piombo che, se confermato l’assunto, si direbbe non siano definitivamente stati archiviati o consegnati ai cultori di eventi del passato. Perché, nel comune sentire – almeno di quanti conoscono gli antefatti e gli sviluppi – Calore rappresenta tuttora uno snodo determinante per decrittare parte dei “misteri d’Italia”. Omicidio Leandri a parte, le sue confessioni hanno consentito alla giustizia di fare luce su parte delle strategie dell’eversione nera e su tutta una serie di anche sanguinosi attentati.

Dando seguito alle indiscrezioni, si direbbe che si profila adesso la pista della vendetta, contrariamente all’omicidio motivato da “fatti personali” – una lite – o compiuto dalla comune criminalità – una rapina: non si trovarono il telefonino e il portafoglio –: tali le indicazioni iniziali degli inquirenti evidentemente cauti nel pubblicizzare fatti ancora da comprendere e classificare nella “casella” apposita.

Sergio Calore

Sergio Calore

Il mistero sulla morte di Sergio Calore fa il paio con quello di Aldo Stefano Tisei, trovato cadavere a Milano a fine novembre del 1988. Overdose si disse. Effetto plausibile che lasciò inevase tutta una serie di questioni. A cominciare dal fatto che si trovasse nel capoluogo lombardo. Da chi o da cosa fuggiva? si chiesero gli inquirenti. Collegando il ritrovamento del corpo del “pentito” (Tisei ne spiegò così le ragioni: “Seppi di essere stato esclusivamente uno strumento nelle mani dei servizi segreti”) all’inattesa assenza nell’udienza del 10 ottobre di quell’anno, a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.

Già condannato a sette anni per concorso nell’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, ai magistrati Tisei raccontò importanti segreti sui neofascisti (uno per tutti: l’agguato a Bernardo Leighton, presidente della Dc cilena, avvenuto a Roma a novembre del 1975: «Concutelli mi disse che la Dina (servizi segreti) cilena voleva eliminare quell’uomo. E lui s’incaricò di tutto. Sparò con il silenziatore alla fronte di Leighton, e quando ha sentito le grida della moglie ha colpito anche lei. Era convinto di averli uccisi, e non infierì. Mi disse che era il primo errore della sua vita, e che i cileni andarono su tutte le furie»).

Fu lo stesso gruppo a portare la morte anche a Tivoli. A conclusione di una riunione avente per oggetto l’attentato a Vittorio Occorsio, gli ordinovisti ‘puntarono’ sulla “città d’arte”. Avevano sentito parlare di armi depositate in una villa a “Santa Balbina”. Decisero di agire. Nella notte del 23 luglio 1976 entrarono nell’abitazione di Adelmo Cipriani, il cui genero, Franco Pacifici, fuochista della Pirelli, solo in casa, svegliato dal trambusto, reagì, lanciando una pantofola. Mario Rossi lo freddò. Le armi? Da collezione. Inutilizzabili.

Pierluigi Concutelli

Pierluigi Concutelli

Tiburtino come Calore, appartenenti a “Ordine nuovo”, entrambi discepoli di Paolo Signorelli – insegnante di matematica presso lo “Spallanzani”, il liceo scientifico cittadino –, fondatore del circolo “La Rochelle”, maestro di una generazione di giovani fascisti, terroristi compresi. Si deve alle confessioni di Tisei la “retata” che a ottobre del 1981 consentì l’arresto dei 41 aderenti all’organizzazione formata da ordinovisti, ‘ndranghetisti e criminali comuni che mise a ferro e fuoco le attività commerciali tra Tivoli, Villalba, Villanova e Bagni.

Di qui, per quanto sommaria, la descrizione conduce ad approfondire analisi ancora non del tutto esaudite, la riapertura delle indagini (sulla morte di entrambi) potrebbe rivelare origini o effetti non completamente chiariti. Come, ad esempio, l’intervento dei servizi – anche localmente – nella “lotta al comunismo” e contro la sinistra. Intervento provato. Quanto è costata al Paese, negli anni di piombo, la deviazione dai compiti istituzionali? Quanto ha influito su giovani poi scopertisi terroristi? E quale relazione passa tra il manifestarsi dei primi segni della crisi dell’apparato industriale locale e la necessità di alcuni personaggi parte della storia in esame – protagonisti, non marionette –, di difendere le posizioni acquisite, anche in termini di rendita? Infine, la presenza “non silente” della P2 negli apparati dello Stato, a Tivoli proprio in quel periodo resa esplicita agli “usati” Calore e Tisei. E’ tempo – dopo tanto tempo – di conoscere la verità.