LE 9 PAGINE DELL’ACCORDO DI PROGRAMMA DEL 23 AGOSTO IN REGIONE LAZIO

di Tommaso Verga

La lotta degli operai si può utilizzare persino per ricercare nuovi leader. Beh, che c’è di strano? In passato è sempre stato così. In passato. Gli aspiranti leaderini di oggi non sanno neppure di calpestare un tratto glorioso della storia. Più rappresentativo un selfie. E le differenze? Cosa vuoi che siano. Ancor più se aiutano a fingere di non ricordare neppure i nomi, la conoscenza dei capibanda, quelle frequentazioni.

Di chi si sta parlando? Di gran parte dei guerriglieri che in questi giorni incitano alla rivolta, transfughi d’un esercito che prendeva ordini da Eligio Rubeis, il sindaco disarcionato dalla procura di Tivoli, e da quel «simpaticone» di Andrea Di Palma, l’intellettuale seguace di Dossetti (così si definiva). Bei tempi.
Potranno tornare? Sinora non si è riusciti a trovare il percorso giusto, il «come fare» langue ormai da oltre un anno. Le polemicucce su Facebook non hanno inciso, il nucleo forte della maggioranza grillina non dà segni di resa, non sembra imminente il knock out. Ma non c’è da godere né da rallegrarsi. Perché, comunque, la conclusione della vicenda-travertino passerà per la chiusura di qualche cava – ma ne basterebbe comunque una sola – per addebitare a qualcuno la responsabilità. Politica. Perché aldilà delle espressioni di Michel Barbet e di Davide Russo, sindaco e assessore alle Attività produttive, all’interno della giunta e del movimento pentastellati qualcuno non ha mai smesso di operare perché tale fosse l’approdo. Scambiando la difesa dell’ambiente come alternativa al lavoro, all’occupazione. Una lettura vecchia, superata dalla storia e dalla capacità d’ognuno di non lasciarsi sopraffare. Una retromarcia alla quale persino Luigi Di Maio ha dovuto fare ricorso, con il dietro front sul «caso Ilva». Del tutto simile – se non addirittura analogo – al «caso travertino». Anche nelle pulsioni.

Per non proseguire affidando all’improvvisazione la gestione della vertenza, si può ricorrere alla Cgil, a ciò che scriveva sull’home page il 23 luglio 2018 (un mese esatto prima della rottura): «La regia della Regione ha svolto a pieno il suo ruolo e le parti in campo da parte loro si sono presentate al tavolo con le idee chiare e con la volontà, pur nelle diverse visioni, di progettare un nuovo sistema di sfruttamento di una risorsa che già nel nome denota la sua stretta correlazione con il territorio, ma che necessita di riposizionarsi viste le mutate condizioni ambientali in cui si trova». Non solo tre righe, ma una sintesi perfetta delle questioni in ballo.

Ma allora perché si è lasciato campo alle strumentalizzazioni? Sulle quali tutti hanno banchettato in termini di consenso da accaparrarsi. «Qui Rodi, qui salta» era tra gli slogan ricorrenti di Palmiro Togliatti. A differenza di Tivoli – che non ha problemi, come se gli addetti delle cave non vivessero anche in quella città – a Guidonia si sono «utilizzati» i lavoratori del travertino sotto ogni latitudine. A prescindere. Servivano e si sono adoperati. I sindacati avrebbero dovuto dirigere il movimento in altro modo. Ci stanno gli insulti contro il sindaco della città che fugge – con appassionati di fiction che moviolinano il copione –, inaccettabili e inammissibili le minacce e la tentazione di passare al sodo. Si vedrà tra qualche ora se sarà possibile svolgere il consiglio comunale. Senza dover ricorrere al lavoro straordinario delle forze dell’ordine.
Ma la cronaca si regge sui «fatti». Che nello specifico, si direbbe non interessano nessuno. Senonché – sottovoce perché ascolti chi è in grado e vuole sentire – dai «fatti» dipende il problema. E (forse) una del tutto ipotetica soluzione. Solo dai «fatti». Che – in conseguenza dell’ordinanza di cessazione dell’attività di cava –, per quanto si conosce sono così distribuiti:
1) Gian Paolo Manzella, assessore regionale alle Attività produttive, il 23 agosto fissa l’incontro del «tavolo» relativo all’accordo di programma sul travertino. La riunione è stata sollecitata dalla «Str spa», colpita dal provvedimento di chiusura spiccato dalla dirigente Paola Piseddu. Nel summit, si discute, si litiga, ma si decide di andare avanti. Tiremm innanz che sollecita Guidonia a proporre di firmare l’«accordo di programma» (lì pronto, un centrotavola), Manzella rifiuta: «Se ne parlerà il 30 settembre».
2) Alla «Str spa» il Tar del Lazio respinge la richiesta di sospensiva e fissa la data del dibattimento contro l’ordinanza al 9 ottobre.
3) Il «fatto» mancato: la «Str» in virtù dell’articolo 21 della legge regionale 6 dicembre 2004, n. 17, poteva inviare un ricorso alla giunta contro l’ordinanza di cessazione. Dipendendo l’esito dalla politica, elevate le probabilità di accoglimento. Ricorrimento evitato. Ipotesi: per Guidonia non si poteva, chiedere il perché al convitato di pietra Eligio Rubeis .
I tre capitoletti sono stati illustrati – ma anche no – dai mezzi di informazione. hinterland ora fa un passo in avanti. E pubblica le foto delle carte sul tavolo del 23 agosto. Due libriccini: il primo, 3 pagine della bozza iniziale; il seguente, nove pagine, il testo finale che verrà sottoscritto il 30 settembre. Serve? Certo che sì. Al colto e all’inclita perché scripta manent (e Verga …).
Il grande punto interrogativo: perché il 23 agosto non si poteva mentre il 30 settembre sarà possibile? Perché Gian Paolo Manzella – l’uomo forte della scalata zingarettiana alla segreteria del Pd – non ha firmato un testo studiato, impostato e vergato dal proprio assessorato (basta leggerlo e si riconosce la fraseologia degli addetti ai lavori)? Perché ha rinviato, consapevolmente, senza giustificazione alcuna, la conclusione dell’«accordo di programma» sul travertino, non solo non impedendo che si arrivasse allo scontro ma persino intervenendo nella vertenza dei cavatori ieri l’altro con uno sberleffo in modalità «facimm ammuina»?
Una sola l’ipotesi possibile. Era necessario far rientrare il Pd, il partito di Manzella, nella «questione-cave».
Il Partito democratico fino al giorno precedente lo sciopero mai era apparso. Noti gli emendamenti al «milleproroghe» regionale di Laura Cartaginese (Forza Italia), e di Valerio Novelli (5stelle). Poi niente. Alla diretta domanda (di chi scrive): «voi non fate nulla?», la deludente risposta: «stiamo lavorando». Infatti, domani, ultimo giorno utile per presentare emendamenti al collegato della finanziaria, la proposta di modifica di Cartaginese viene affiancata dalla firma di Michela Califano, Pd. Che in proprio non ha niente da dire. Un pensiero che ha attraversato anche parte dei cortei dei lavoratori: «Vi presentate ora? ma dove siete stati?».