di TOMMASO VERGA

divina provvidenza ingressoALZI LA MANO tra i lettori chi è interessato, in solido, alla volontary disclosure… Ma come, un museo delle cere? il Parlamento partorisce una legge a favore del popolo italiano – almeno tale dovrebbe essere il compito del legislativo – e invece occorre andare a cercare nome per nome chi ne beneficia? Appunto, nome per nome. Sola differenza rispetto all’analogo provvedimento firmato Giulio Tremonti nel 2009, quando l’adesione alla volontary disclosure avvenne in forma anonima. Il resto è sostanzialmente uguale. Per entrambi si tratta del rientro di capitali residenti dall’estero, del “bonifico” di una serie di reati sino al suo avvento, in sintesi, lo scudo fiscale deciso ieri dal governo Berlusconi ora è stato ribadito da quello Renzi-Padoan.

Ciò specificato, preso atto che non c’è adesione tra i lettori, non rimane che dare una rapida occhiata nei pressi. Talmente rapida che si scova chi a due passi ne ha tratto utilità. Per la somma di 8,3 milioni di euro. Intestati a Lorenzo e Pasquale Leone, nipoti del commendator Lorenzo Leone, il nonno morto nel 1998 ed al vertice per oltre un ventennio della “Casa Divina Provvidenza”. Sede a Bisceglie, decentramento a Guidonia Montecelio, via Tiburtina km 20,500, noto come il “manicomio di Martellona” (adesso sede dell’Ihg, l’Italian hospital group). Con il numero massimo di mille degenti ricoverati negli anni d’oro. L’azienda è tecnicamente fallita (l’Opera è in amministrazione straordinaria secondo la legge Prodi bis), i dipendenti residui sono in mezzo alla strada.

Che l’oro avesse un ruolo non v’è ombra di dubbio. Tanto è vero che il commendatore ne ha accumulato tantissimo, un tesoro. A parte il sospetto degli inquirenti sulla effettiva destinazione di 60 miliardi (di lire) in Argentina, la somma “concreta” della quale si parla era depositata presso lo Ior (Istituto opere di religione) nello Stato Città del Vaticano. E, secondo la Procura di Trani, sottratta ai conti della “Divina Provvidenza”, quindi tra le cause del fallimento. A settembre, attraversando le Mura leonine, i soldi sono rientrati in Italia e depositati sul conto corrente dei due nipoti. Senza alcuna ambascia. Perché non possono essere sequestrati dai magistrati pugliesi che hanno condotto le indagini. E perché, come detto, la volontary disclosure, a parte l’esborso della penalità, non permette nessuna azione giudiziaria.

Singolare la procedura di rientro in Italia. Con le nuove regole varate nel 2013 – si ricorderà il gran baccano sul Vaticano inserito nella black list degli istituti di credito e l’impegno alla “trasparenza” –, venne deliberato il divieto all’uso dello Ior a correntisti non religiosi e “anomali”. Quindi, se ne deduce, chi si fosse trovato in tale condizione avrebbe o gli sarebbe stato chiuso il deposito. Fuffa. Così non è avvenuto. I fratelli Leone infatti non sono stati costretti a portare via i soldi, lo Ior ha solo congelato la posizione evitando che operassero sul conto. Non i soli. Secondo la banca del Vaticano, erano 274 i conti dei laici che al 31 dicembre 2014 restavano suoreda chiudere. Tutto a posto dunque. Neppure così, tanto che l’intimazione è arrivata solo nella primavera di quest’anno, mentre il prelievo è di settembre (in tempi di Watileaks, nessuna valutazione sul merito. Al più, la constatazione che le azioni Stato-Ior corrono parallele). Comunque, la Procura di Trani – l’inchiesta “Oro Pro Nobis” – sta studiando le carte, l’ Aif e l’Uif, le due autorità antiriciclaggio di Vaticano e Italia, sono in contatto tra loro, però stante la normativa, la volontary disclosure non può impedire di riportare in Italia i soldi e disporne liberamente.

Si intenda: i cugini Leone sono del tutto assenti al rapporto nonno-Ior. In quanto eredi hanno beneficiato del lascito, come chiunque si fosse trovato in analoga condizione. Semmai va interrogato lo Stato italiano e chi lo governa che ha permesso che ciò si rendesse possibile. Anzi: sollecitato, visto che la “collaborazione volontaria” è incentivata dall’esenzione tout court di condanne per reati come la dichiarazione fraudolenta anche tramite fatture, la dichiarazione infedele, l’omessa dichiarazione, fino al mancato versamento di ritenute e Iva. Delitti che prevedono condanne di varia entità, fino a un massimo di sei anni, tutti abbuonati agli evasori “pentiti”. Addirittura chi riporta capitali sommersi detenuti all’estero non può essere perseguito neppure per i reati connessi al riciclaggio (12 anni pena massima). In linea con la legge di Tremonti, qualificata sei anni fa “amnistia mascherata”.

MARTELLONA 2 Le cause del fallimento

… appropriazioni, sperperi, dissipazioni, forniture fuori mercato con contratti a favore di terzi a danno dell’Ente

 

“Questo è un albergo non un ospedale”: è il giudizio di Raffaele Costa, ministro della Sanità, 1993. Nosocomi a Guidonia, Bisceglie, Foggia e Potenza; cinquemila dipendenti; posti letto passati dai 3000 del 1977 ai 9600 di quell’anno; un patrimonio immobiliare valutato in 400 miliardi di lire. Sul piano finanziario, nel 1994, i crediti nei confronti delle banche ammontavano a 4 miliardi, e verso gli enti, tutti “certi ed esigibili”, in particolare le Regioni, a 291 miliardi. Da altri 60 miliardi “liquidi” vennero prelevati i fondi per la costruzione di una nuova sede a Paranà, in Argentina. Una condizione certificata da un commissario – che immediatamente sostituisce il commendator Lorenzo Leone – inviato dal Vaticano dopo la specifica richiesta del “Don Uva” che insospettatamente si dichiara in difficoltà.

Carlo Maria Capristro, a capo della Procura di Trani

Carlo Maria Capristro, a capo della Procura di Trani

Passano gli anni, una decina addirittura, e la congregazione ufficializza a dicembre del 2013 lo stato di insolvenza. Tenuta nascosta sino a quel momento. Nella relazione del commissario Bartolo Cozzoli (avvocato, componente della segreteria regionale del Pd), nominato a seguito dell’intervento della Prodi bis si legge: “La consapevolezza dello stato di insolvenza, che si manifesta allorquando l’intensità e l’entità delle perdite economiche, unite alla scarsa solidità dell’assetto patrimoniale, conducono all’incapacità dell’impresa di fronteggiare i propri impegni finanziari, cioè di soddisfare regolarmente e con mezzi ordinari le proprie obbligazioni, era nota agli amministratori fin dagli ultimi anni ’90.

“Già nel 1997 infatti le disponibilità finanziarie della Congregazione non erano sufficienti ad assolvere gli impegni di spesa previsti nei confronti del personale; tale criticità si ripete nel corso dell’esercizio 1999, quando la Congregazione si trova costretta a far ricorso al mercato del debito anche al fine di ottenere le provviste necessarie a far fronte ai c.d. “pagamenti obbligatori”.

“Tale situazione appare ancor più manifesta a partire dai primi anni 2000; dal luglio 2001 l’Ente non è più in grado di assolvere alle obbligazioni di natura previdenziale ed erariale connesse al lavoro dipendente, dal gennaio 2002 l’Ente non è più in grado di assolvere nemmeno ai contributi a carico dell’azienda verso INPS e INAIL.

“Tale situazione avrebbe dovuto portare la Congregazione a manifestare il proprio stato di insolvenza in un momento precedente rispetto a quanto manifestatosi nel corso del dicembre 2013; ciò non è avvenuto anche perché, nel periodo di riferimento, gli Amministratori hanno posto in essere una serie di azioni che hanno avuto il deliberato obiettivo di “… rendere meno pesante il risultato di esercizio … e … rappresentare una perdita di esercizio inferiore trasferendo al futuro tutte le relative conseguenze negative …, di fatto ritardando l’emersione dello stato di insolvenza della Congregazione”.

Quindi, il danno. Nei confronti dei contribuenti italiani. Infatti:
a) l’Ente ha sempre vissuto esclusivamente sui proventi delle erogazioni pubbliche derivanti dalle convenzioni con il servizio sanitario (per inciso questo peculiare aspetto costituisce oggetto di altro filone investigativo per una massiccia truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale);
b) le consistenti riduzioni di personale imposte dallo stato di crisi sono sempre state poste a carico degli enti previdenziali attraverso il meccanismo degli ammortizzatori sociali;
c) i benefici concessi con gli innumerevoli interventi normativi effettuati nel corso degli anni in “favore” dell’Ente, non hanno fatto altro che procrastinare il versamento di contributi assistenziali e previdenziali fino al 2016 (e rateazione del pregresso fino al 2027), tanto da accumulare un debito che allo stato attuale ammonta a circa 350 milioni di euro.

Decisioni “operative”: vendere “Martellona” a Guidonia Montecelio e ridurre il personale a Bisceglie, Foggia e Potenza.

Si giunge quindi, ai giorni nostri, alla prima conclusione delle indagini (che comunque proseguono). Imputazioni a vario titolo, dall’associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta ad altri reati, a giugno vengono eseguiti dieci arresti – comprese due suore, la madre superiora Marcella Cesa (sinora assistita da un “principe del foro”, l’avvocato Francesco Paolo Sisto: potrebbe lasciare se eletto a giudice costituzionale su indicazione di Forza Italia), e Assunta Puzzello –, e l’invio dell’avviso di garanzia a 15 indagati nell’operazione “Oro Pro Nobis”. La “Casa di cura Divina Provvidenza” passa quindi dal regime di amministrazione controllata a quella straordinaria secondo la legge Prodi bis. Il crack ammonta a circa 500 milioni di euro, 350 i debiti nei confronti dello Stato.

Tutto custodito nei faldoni dell’indagine della Procura della Repubblica presso la Procura di Trani, diretta da Carlo Maria Capristo. Una analisi approfondita della gestione dell’ente prima del commissariamento ha consentito di conoscere e valutare le cause del default:
a) Una gestione totalmente svincolata dai criteri di una corretta amministrazione aziendale, in cui per decenni è mancata persino una contabilità ed organi che controllassero la rispondenza ad economicità delle operazioni gestionali;
b) Una inesauribile serie di appropriazioni, sperperi, dissipazioni, forniture fuori mercato con contratti a tutto favore dei terzi ed ad tutto danno dell’Ente;
c) Assunzioni clientelari in momenti di crisi, allorché contemporaneamente si procedeva a consistenti riduzioni di personale per poter accedere agli ammortizzatori sociali previsti dalle norme vigenti;
d) Assunzioni di personale inutile oppure destinato a mansioni del tutto svincolate dalle professionalità richieste.

Secondo la Procura, il caso più clamoroso di sottrazione di patrimoni aziendali è rappresentato da oltre 30 milioni di euro e da un immobile destinato a clinica privata in Guidonia, sequestrato, entrambi fittiziamente intestati a un ente ecclesiastico parallelo alla Cdp e noto come “Casa di Procura Suore Ancelle della Divina Provvidenza”, ma gestiti dalle suore della congregazione, nel tentativo di sottrarli ai creditori e quindi anche allo Stato.

Di stretta attualità invece le “manifestazioni di interesse” relative all’acquisto del complesso di Bisceglie. 18 le risposte all’invito pubblicato il 21 settembre dal commissario straordinario. Nel novero, alcuni tra i principali gruppi operanti nel settore della sanità nazionale. Entro domani, 27 novembre, l’avvocato Cozzoli dovrà esaminare le offerte sulla base della congruità, per accettare o “scremare” la quantità di interessati alla prosecuzione del tour burocratico-finanziario. A seguire, la formulazione delle offerte vincolanti e la conclusione della procedura. Scadenza: 31 gennaio 2016.

“Oro Pro Nobis” interessa anche la sanità di Guidonia Montecelio Il sospetto d’una vendita fittizia della “Divina Provvidenza” e 27 milioni di euro nei conti d’una inesistente struttura cittadina

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